CANTIERE OPERATIVO: LE LIBERALIZZAZIONI

 

(diamo un futuro ai nostri figli)
Nota per i Lettori
Funny King e Martino hanno lanciato una proposta per una riduzione di 200 miliardi di Spesa Pubblica. Completata le proposta, stiamo predisponendo le RIFORME e di seguito vedremo la riduzione e riorganizzazione fiscale.
Pero’ prima analizziamo le Liberalizzazioni. Dopo aver analizzato le Liberalizzazioni in tema di Mercato del lavoro, diamo uno sguardo al resto. Ci baseremo in questa prima trattazione anche su lavori gia’ predisposti dall’Istituto Bruno Leoni.
Qui ricapitoliamo il lavoro fatto e da fare.

 

Parte 1 – Proposte per ridurre di 200 miliardi la Spesa Pubblica
Parte 2 – Le Riforme 
– Universita’
Mercato del Lavoro
– Federalismo
– Giustizia
– Liberalizzazioni
– Moneta e Finanza

Parte 3 – Rivoluzione Fiscale
– Semplificazione Fiscale
– Responsabilita’ Fiscale
– Evasione Fiscale
– Riduzione tassazione diretta
– Riorganizzazione tassazione indiretta
– Riepilogo

Premessa
Siamo perfettamente consapevoli che la difficoltà delle riforme che si possono classificare gene­ricamente sotto il titolo di “liberalizzazioni” è tutta politica. Infatti, si tratta di riforme a costo zero, nell’immediato, e a costo negativo, nel lungo termine. Nel breve periodo, le liberalizzazioni non im­plicano lo spostamento di alcuna posta di bilancio all’interno delle finanze pubbliche né, tanto meno, richiedono di impegnare risorse che non ci sono. “Liberalizzare” è un atto puramente normativo (an­che se può avere risvolti sulle finanze pubbliche se implica la cessione di aziende o di rami d’azien­da controllate dal settore pubblico, che in alcuni casi possono fare profitti e in molti altri, quasi la ge­neralità, producono perdite). Liberalizzare significa cambiare le leggi e consentire a nuovi entranti di ambire a soddisfare i bisogni del consumatore.
Se nel breve termine liberalizzare non costa (e non rende) nulla, nel lungo termine le cose sono ben diverse. La concorrenza produce efficienza e innovazione: a parità di altri elementi, ci si può attendere che la qualità dei beni o servizi erogati in condizioni di mercato migliori, il loro prezzo diminuisca, o entrambe le cose. Questo ha due importanti conseguenze. La prima è che quegli stessi settori, che in precedenza erano ostaggio di monopoli od oligopoli, diventano terreno fertile per l’im­presa e partecipano alla creazione di ricchezza nazionale. La seconda conseguenza deriva dal fatto che questi beni o servizi sono, spesso, a loro volta fattori di produzione che incidono sulla struttu­ra dei costi e sull’efficienza produttiva di altri beni o servizi: il loro miglioramento qualitativo e la ri­duzione dei prezzi generano esternalità positive sull’intera economia. Per questo le liberalizzazioni sono la più efficace politica per la crescita. La Banca d’Italia ha stimato che la piena liberalizzazio­ne del settore dei servizi potrebbe far lievitare il Pil italiano di addirittura 11 punti, la metà dei quali negli anni immediatamente successivi l’apertura del mercato dei servizi.
Qui l’indice delle Liberalizzazioni IBL, che da’ un’idea dell’aperura al mercato dei vari settori (max valore 100 e’ il paese internazionale con minori barriere all’ingresso alla concorrenza) nel 2011. Appare evidente che vi sia parecchio da fare.
  • Mercato elettrico   72
  • Servizi finanziari    69
  • Televisione   62
  • Trasporto aereo    62
  • Mercato del gas naturale   62
  • Mercato del lavoro   60
  • Fisco   56
  • Ordini professionali   47
  • Servizi postali   47
  • Mercato dell’arte   45
  • Trasporto pubblico locale   44
  • Telecomunicazioni   42
  • Pubblica amministrazione   39
  • Trasporto ferroviario   36
  • Infrastrutture autostradali   28
  • Servizi idrici    19
  • Indice Italia    49
Liberalizzazione Mercato del Lavoro
Si rimanda al post dedicato prodotto nel Cantiere Operativo.
Liberalizzazione del Mercato del Gas
PREMESSE
Nel 2010 la domanda italiana di gas è stata di 85 miliardi di metri cubi. Al netto delle vendite innovative, il market leader, Eni, ha una quota di mercato nelle impor­tazioni del 39,2 per cento, seguito da Edison (18,4 per cento), Enel Trade (14 per cento), mentre tutti gli altri operatori hanno quote inferiori al 2,5 per cento. La posizione dominante dell’ex monopoli­sta è resa più solida ancora dal suo predominio nella produzione nazionale (83,3 per cento) e inclu­dendo le quantità di metano cedute ai concorrenti alla frontiera. In tutte le regioni italiane tranne 2, la quota di mercato dei primi tre operatori (CR3) è superiore al 60 per cento. La situazione con­correnziale è migliore solo in Lombardia (35,7 per cento) e Veneto (51,2 per cento). Parte del proble­ma deriva dalla carenza (nel lungo termine) delle infrastrutture di adduzione, i rigassificatori.
Inoltre gli stoccaggi, pur non rappresentando un monopolio tec­nico, sono quasi totalmente in mano all’ex monopolista.
A di­spetto dell’abbondanza di gas, i prezzi italiani non hanno riflettuto, durante la crisi, le riduzioni di prezzo osservate nei principali mercati europei.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Allo scopo di rendere più concorrenziale il mercato italiano del gas, è necessario intervenire sul mer­cato in analogia a quanto fatto sul mercato elettrico, imponendo la separazione proprietaria (e il divieto di future forme di integrazione verticale) della rete dall’ex monopolista (in sintesi l’ENI deve cedere le quote eccedenti il 20% di Snam Rete Gas, e SRG dovrebbe cedere il controllo di Italgas e Stogit).
  • Per gli stoccaggi il problema non è, di per sé, la separazione, quanto la creazione di un contesto competitivo facendo spezzatino dei siti attualmente gestiti da Stogit (società del gruppo Snam Rete Gas controllato da Eni) e accelerando le autorizzazioni per i siti progettati dai diversi operatori.
Liberalizzazione Carburanti
PREMESSE
La filiera petrolifera che è oggi dominata da un oligopolio costituito da 8 società integrate verticalmente (cioè che contestualmente producono, commercializzano all’ingrosso e vendono al dettaglio) e che determina un extra prezzo di alcuni centesimi di euro per ogni litro di carburante a carico dei nostri automobilisti rispetto al panorama europeo.
Mancano nel nostro Paese sia forti operatori commerciali puri in grado di contrattare liberamente con i produttori sul piano nazionale e internazionale le migliori condizioni di acquisto dei carburanti, sia un numero sufficiente di rivenditori al dettaglio (cioè di stazioni di rifornimento) autonomi rispetto ai produttori e indipendenti sul piano dell’offerta commerciale e quindi dei prezzi di vendita..
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Consentire ai distributori legati da vincoli di esclusiva alle compagnie petrolifere (che gestiscono direttamente o indirettamente la gran parte dei 22.450 punti di vendita al dettaglio) la facoltà di approvvigionarsi di carburanti presso altri fornitori: l’acquisto in esclusiva non potrà superare il 75% e il singolo esercente al dettaglio potrà acquistare la restante parte da altri rifornitori ai migliori prezzi presenti sul libero mercato.
  • Creare una società pubblica che veicoli, controlli ed agevoli le attivita’ di commercio all’ingrosso dei carburanti, in modo da rifornire migliaia di punti di vendita al dettaglio a prezzi competitivi e così contribuire al contenimento dei prezzi al consumo, superando le attuali strozzature del mercato.
  • Eliminazione dei vincoli regionali sulla liberalizzazione della distribuzione dei carburanti.
Liberalizzazione Professioni
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Abolizione degli Ordini Professionali e di tutto cio’ che essi si portano dietro. Non c’e’ molto altro da aggiungere
Liberalizzazione del Trasporto Ferroviario
PREMESSE
L’intero settore del trasporto ferroviario è, in Italia, dominato da un monopolista pubblico vertical­mente integrato. Se qualcosa si sta muovendo, seppure con difficoltà, nel segmento più redditizio dell’alta velocità, rimane al momento quasi privo di ogni sussulto concorrenziale il settore del tra­sporto ferroviario regionale. Il dominio di Trenitalia è cementato da sussidi pubblici (aumentati nel triennio 2006-2008 del 27%), e da norme a favore del monopolio (per esempio la legge 2/2009 aveva autorizzato la spesa aggiuntiva di 480 milioni di euro per tre anni a favore del trasporto ferro­viario regionale, solo nel caso di un rinnovo dei contratti in essere con Trenitalia, e la legge 33/2009 ha fissato in sei anni la durata minima dei contratti, rinnovabili per altri 6; Infine, la legge 99/2009 introduce una serie di paletti che, di fatto, fanno coincidere l’interesse generale col conto economi­co di Trenitalia, rappresentando lo strumento di cui l’azienda si è avvalsa per ostacolare i tentativi di competizione).
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
L’obiettivo della riforma deve essere duplice: da un lato rendere possibile la competizione, stimo­lando così l’efficienza e la riduzione dei costi nel settore del trasporto ferroviario. A questo scopo, vale la pena sottolineare che il costo per passeggero-chilometro nel trasporto ferroviario regionale in Gran Bretagna è circa la metà di quello italiano. Secondariamente, dalla maggiore competizione ci si può anche attendere un miglioramento e una diversificazione del servizio sotto il profilo quali­tativo. Gli interventi da fare sono:
  • Separazione tra la rete e l’erogatore dei servizi, cioè tra Rfi e Trenitalia, attualmente controllate dalla medesima holding Ferrovie dello Stato;
  • parallelamente, è necessaria l’istituzione di un regolatore indipenden­te, poiché l’attuale Ufficio regolazione servizi ferroviari, presso il ministero dei Trasporti, è palese­mente inadeguato.
Per il solo trasporto ferroviario regionale:
  • occorre anzitutto liberalizzare la durata dei contratti di servizio;
  • secondariamente, vanno rimosse le misure “salva Trenitalia” della legge 99/2009.
Liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali
PREMESSE
La qualità e il grado di competizione nei servizi pubblici locali sono del tutto inadeguati, sia nei settori concorrenziali sia nel caso dei monopoli tecnici. Tutto ciò si traduce nell’erogazione di servizi di scarsa qualità e alto costo. Per esempio, nel caso del traspor­to pubblico locale l’Istituto Bruno Leoni stima che, in media, i costi per vettura chilometro possano essere ridotti di circa un terzo con misure di mera efficienza organizzativa. Altri settori hanno perfor­mance non dissimili. Una riforma che consenta di mettere sotto pressione gli erogatori di tali servizi avrebbe pertanto benefiche ricadute sia sul bilancio pubblico locale, sia sulla crescita.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
Si tratta, semplicemente, di fissare il principio per cui l’affidamento deve avvenire obbligatoriamente attraverso procedure a evidenza pubblica. Il problema più significativo è posto dagli affidamenti in essere, laddove siano stati affidati diretta­mente. Quando le concessioni hanno durata limitata, dell’ordine di uno o pochi anni, è ragionevo­le lasciarle andare a scadenza, in caso contrario appare doveroso fissare un termine temporale di 1 o 2 anni entro il quale l’affidamento do­vrà essere rimesso a gara. Unica eccezione può essere rappresen­tato, e solo in forma di deroga data l’eccezionalità dell’evento, per le società titolari di affidamento diretto che, nel frattempo, siano state quotate in borsa (in questo caso, anticipare la scadenza del­le concessioni andrebbe a detrimento del loro valore e potrebbe generare ampio contenzioso, per cui appare più ragionevole, semplicemente, imporre la discesa degli enti pubblici azionisti al di sot­to del 20 per cento del capitale entro 1 anno).
E’ necessaria una proposta di legge che con­tenga le norme per l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, nel rispetto del risultato re­ferendario (compresa l’esclusione del servizio idrico tra i servizi oggetto di intervento), ma anche dei principi europei di concorrenza, libertà di stabilimento e prestazione dei servizi, universalità e ac­cessibilità dei servizi pubblici locali. I punti essenziali della proposta sono i seguenti:
·         Codificazione dell’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui i servizi pubblici locali sono servizi di interesse generale a rilevanza economica, per evitare d’ora innanzi che re­gioni ed enti locali tentino, come già avvenuto in più occasioni, un’indebita ingerenza in una materia che ricade nella competenza statale.
·         Previsione che l’affidamento delle nuove gestioni nonché il rinnovo di quelle in essere avven­ga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa euro­pea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, fatta salva la proprietà delle reti e dei beni pubblici strumentali e la gestione del servizio idrico.
·         Disciplina della fase transitoria per gli affidamenti già in essere, secondo quanto già detto.
·         Previsione dell’affidamento in house come modalità eccezionale e motivata di affidamento, alla luce delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario.
·         Previsione delle condizioni di partecipazione e esclusione dalla gara.
·         Previsione di forme di vigilanza e controllo della gestione del servizio affidato.
Liberalizzazione dell’Acqua
PREMESSE
Il referendum del 12-13 giugno 2011 ha clamorosamente bocciato la riforma del settore disegnata dalla legge Ronchi e cancellato, dal codice ambiente del 2006, l’obbligo di stabilire le tariffe tenen­do conto, tra l’altro, “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Questo determi­na un quadro di incertezza normativa, relativa anche alle modalità di finanziamento degli investi­menti, che ha già determinato uno stallo degli investimenti. Ciò nonostante, gli investimenti sono necessari, se solo si tiene conto che circa il 37 per cento dell’acqua viene dispersa durante il traspor­to, che un terzo della popolazione italiana non è servita da un depuratore e che il 15 per cento ad­dirittura non dispone di un allaccio fognario. Alcuni di questi investimenti sono necessari per ragio­ni evidenti a tutti; altre sono addirittura obbligatori per sanare la violazione delle direttive europee sulla qualità delle acque per la quale il nostro paese è già oggetto delle attenzioni della Commissio­ne europea. Si calcola (per difetto) che, per risolvere i problemi citati, nei prossimi 30 anni saranno necessari investimenti nell’ordine dei 64 miliardi di euro. stimenti necessari senza compromettere le finanze pubbliche già in crisi.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • E’ anzitutto necessario istituire un regolatore indipendente che possa occuparsi della determinazio­ne delle tariffe (o sorvegliare, con possibilità di intervento e sanzione, i soggetti preposti) e della re­golazione tecnica. La de-politicizzazione delle tariffe è un passo necessario per superare uno degli ostacoli finora sperimentati: poiché la “bolletta dell’acqua” è tema di campagna elettorale, la ten­tazione – specie in presenza di gestori del servizio interamente controllati dal comune – è quella di mantenere prezzi “politici”, col risultato che non è possibile fare investimenti e che i problemi si ag­gravano.
  • Bisogna consentire la presenza dei privati nella gestione del si­stema, derogando – laddove sussistano particolari ragioni – all’obbligo di gara, che comunque deve restare il meccanismo preferenziale.
  • Da ultimo, è necessario consentire il finanziamento degli inve­stimenti. Il referendum ha spazzato via il vecchio sistema tariffario che, per una serie di ragioni, aveva subito una degenerazione: infatti il saggio di remunerazione del capita­le, fissato per decreto ministeriale nel 1996 al 7 per cento, non era stato mai più rivisto. Al contra­rio, il costo del capitale va definito in relazione alle condizioni effettivamente vigenti, caso per caso e momento per momento.
Al fine di perseguire gli obiettivi dichiarati – creazione di un regolatore indipendente, obbligo di gara con possibilità di deroga in presenza di condizioni eccezionali, e piena remunerazione dell’attività industriale – è sufficiente approvare la proposta di legge n. 3856, depositata alla Camera dei depu­tati il 16 novembre 2010 con primi firmatari Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini, e successivamen­te ripresentata da Benedetto Della Vedova e altri come emendamento alla legge comunitaria 2011. Dopo aver emendato tale proposta con la soppressione della parte in cui abroga l’articolo 15 del de­creto legge 25 settembre 2009, n. 135 (già abrogato dal referendum), basterebbe approvare il resto dell’articolato, che modifica la disciplina generale dei servizi pubblici locali.
Liberalizzazione dei Servizi postali
PREMESSE
Sotto l’impulso della normativa comunitaria, il settore del recapito ha registrato nei primi mesi del 2011 un importante intervento di riforma: il recepimento della terza direttiva postale (diretti­va 2008/6/CE), operato con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58. Se è certo presto per proporre un’analisi compiuta delle conseguenze del provvedimento, è però legittimo avanzare alcune riserve sulla sua efficacia. La nuova disciplina interviene, da un lato, con ritardo in un mercato sostanzialmente monopolistico, con una quota di mercato complessiva dell’operatore pubblico ben superiore al 90%; e, dall’altro, essa denota una serie di inadeguatezze che ne compromettono la solidità d’impianto e non permettono di presagire un percorso di effettiva apertura competitiva del settore.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • E’ necessario assicurare che il settore postale sia regolato da un organismo indipendente, e non da un’Agenzia ministeriale
  • Ridurre l’ampiezza dell’ambito del servizio universale al perimetro minimo previsto dalla disciplina europea e, soprattutto, elimina­re ogni residuo di riserva – inclusa quella sulle notifiche di atti giudiziari, oramai incompatibile con la normativa comunitaria. Il servizio universale andrebbe ridefinito con la cassazione immediata della pubblicità diretta (direct mail), incomprensibilmente prorogata al 2012, la limitazione ai pacchi postali fino a 10 kg (dagli at­tuali 20), e l’esclusione della posta massiva, cioè degli invii dei grandi speditori di classe business, la cui ricomprensione nel servizio universale non risponde ad apprezzabili ragioni d’equità e altera pesantemente il contesto di mercato.
  • Eliminazione della disposizione che vincola ciascun operatore alla “contrattazione collettiva di lavoro di riferimen­to”, e con ciò, di fatto, alle condizioni stipulate dall’operatore dominante.
Commercio: liberalizzazione attivita’
PREMESSE
Occorre rimuovere i vincoli che ancora oggi impediscono l’innovazione dell’impresa commerciale, e più in particolare la libertà di abbinare la vendita di beni alla fornitura di servizi ai consumatori.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Estensione a tutte le attività commerciali di fornire liberamente ai consumatori anche servizi integrati con la propria attività economica principale
Commercio: liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura
PREMESSE
A partire dal 1998, il commercio al dettaglio è stato oggetto di una graduale riforma, a corrente al­ternata, verso una maggiore libertà di scelta dell’esercente circa gli orari di apertura e chiusura dei negozi.
In particolare, il decreto legislativo n. 114/1998 ha consentito una maggiore flessibilità nella scelta, da parte dell’esercente, degli orari di apertura e di chiusura al pubblico, imponendo al tempo stesso una serie di limiti, per cui l’arco temporale di apertura e chiusura deve comunque rispettare la fascia oraria dalle ore sette alle ore ventidue, non può estendersi per più di tredici ore giornaliere e deve comunque essere fissato nel rispetto della chiusura domenicale e festiva dell’esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Di diritto i negozi possono re­stati aperti i giorni festivi di dicembre e otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’an­no, mentre ogni altra deroga alla chiusura deve essere concordata tra le organizzazioni di categoria e il comune. Solo i comuni ad economia prevalentemente turistica, le città d’arte o le zone del terri­torio dei medesimi potevano godere di una maggiore libertà determinazione degli orari di apertura e di chiusura, ma sulla base di scelte lasciate alla discrezionalità degli enti territoriali di riferimento.
Tale flessibilizzazione, con la quale il legislatore statale ha affidato un ruolo di primo piano alle re­gioni e agli enti locali nella modulazione degli orari, se rispettosa della competenza regionale in ma­teria di commercio, si è tuttavia dimostrata poco coraggiosa.
Rispetto, dunque, a una certa rigidità dimostrata dalle regioni e dai comuni, il legislatore statale ha recentemente liberalizzato gli orari commerciali come misura per lo sviluppo economica, intervenendo tuttavia in via sperimentale e solo per le località inserite negli elenchi regionali dei luoghi a vocazione turistica e le città d’arte (art. 35, comma 6, decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011, recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 15 luglio 2011).
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
La riforma che si propone estende la liberalizzazione avviata in via sperimentale per le località a vo­cazione turistica e le città d’arte a tutti gli esercizi commerciali, ovunque ubicati.
Le ragioni sono molteplici.
Il costo delle rigidità italiane nella distribuzione commerciale è pari a 930 euro all’anno per famiglia. Complessivamente, il permanere di una struttura antiquata pesa per 23 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento dei consumi totali delle famiglie (fonte: Cermes-Bocconi). Inoltre, un recente sondaggio di IPSOS su un campione di 1000 persone (margine di errore compreso fra +/- 0,6% e +/- 3,1) rivela che 8 italiani su 10 sono favorevoli alla liberalizzazione del commercio.
Occorre dunque che lo Stato recuperi, in virtù della sua competenza esclusiva in materia di concor­renza, l’occasione di liberalizzare il commercio come segnale, ancorché piccolo, di scossa all’econo­mia e allo sviluppo e come risposta alle esigenze di vita dei consumatori, specie nelle grandi città, dove i ritmi quotidiani più serrati rendono difficile anche solo comprare i generi alimentari.
L’intervento normativo necessario per attuare la presente proposta è assai semplice e richiede sol­tanto due passaggi, l’abrogazione dell’attuale deroga ai limiti agli orari di apertura e chiusura e agli obblighi di chiusura festiva solo per gli esercizi commerciali ubicati nelle località turistiche e nelle città d’arte; e, contemporaneamente, l’estensione del medesimo regime a tutti i comuni italiani.
Liberalizzazione delle Telecomunicazioni
PREMESSE
Il settore delle telecomunicazioni presenta due volti divergenti. Nel mercato mobile riscontriamo un soddisfacente livello di concorrenza, a cui corrispondono prezzi in continua diminuzione, inve­stimenti in crescita e un’am­pia diffusione delle più recenti tecnologie. Nel campo del fisso, viceversa, l’ex monopolista pubbli­co mantiene una posizione preponderante, a cui fanno riscontro un limitato livello di concorrenza, un’attenuata tendenza al ribasso dei prezzi, e soprattutto un accesso lacunoso all’innovazione. In conseguenza di ciò, l’Italia langue tra gli ultimi paesi in Europa nelle classifiche sulla penetrazio­ne della banda larga e ultralarga e, per converso, ai primi posti nelle graduatorie sul digital divide. E’ necessario, in primo luogo, eliminare gli ostacoli agli investimenti ed in questo senso, qualcosa di buono si è fatto, ad esempio, con le leggi 25 marzo 2010, n. 40 e 6 agosto 2008, n. 133, che semplificano le procedure in materia di opere civili. È però necessario intervenire altresì sul contesto di mercato, assicurando che gli operatori abbiano un in­centivo a competere ed investire.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Intervento normativo che ridimensioni la portata delle disposizioni su cui i piani banda larga e NGN si fondano – l’art. 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e l’art. 30 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (manovra correttiva 2011) – così da limitare il potere d’iniziativa dell’esecutivo ad un più congruo ruolo di controllo.
Liberalizzazioni nel Sistema Bancario
PREMESSE
I costi per Pmi e consumatori che, secondo un recente studio della Commissione europea, pagano due volte e mezzo la media UE per un conto corrente. Un indicatore per misurare la concorrenza nel settore è la mobilità dei clienti: nel nostro Paese la quota percentuale di coloro che cambiano conto corrente ogni anno è la metà rispetto ai principali paesi europei.
La governance delle banche italiane è infine segnata, come sostenuto più volte dal presidente dell’Antitrust, da intensi intrecci azionari e personali tra imprese concorrenti che costituiscono una peculiarità nazionale che frena le spinte concorrenziali, riduce la contendibilità del controllo e attenua il rapporto tra capitale di rischio investito e responsabilità.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Abolizione della clausola di massimo scoperto e di altre commissioni analoghe nei c/c bancari. Stabilire la nullità di tutte le clausole, comunque denominate, che prevedono una commissione per l’affidamento temporale di fondi, cioè per l’utilizzo di somme oltre la disponibilità del conto corrente (scoperto transitorio). Poiché l’Autorità ha invitato il legislatore a porvi rimedio, la norma proposta intende mettere uno stop definitivo a queste voci di costo dei conti correnti, che oltre ad essere particolarmente onerose per famiglie e piccole imprese, sono anche poco trasparenti. Si affida, inoltre, alla Banca d’Italia il controllo sul corretto rispetto delle nuove prescrizioni e il potere di stabilire i criteri e le modalità per la corretta informazione ai clienti delle condizioni economiche dei servizi  offerti dalle banche.
  • Portabilità gratuita dei conti correnti 
  • Divieto di ricoprire incarichi incrociati nei CdA delle banche
Liberalizzazioni nel Sistema Assicurativo
PREMESSE
Il fortissimo incremento delle tariffe dal 1994 ad oggi, cioè da quando fu avviata (formalmente) la  liberalizzazione dei prezzi, in attuazione di norme comunitarie, e il contesto di difficoltà nel quale si muovono i clienti, con scarse e contrastanti informazioni, sono oramai sintomi accertati che dimostrano come in Italia il mercato della rc-auto non sia affatto concorrenziale. Si tratta di un mercato asfittico che, in queste condizioni, non può funzionare come qualsiasi mercato libero di beni o servizi. La domanda è certa e statica in quanto scaturisce dall’obbligatorietà per gli automobilisti di assicurarsi. I clienti che ogni anno cambiano compagnia assicurativa rappresentano una bassissima percentuale, anche a causa delle clausole di tacito rinnovo delle polizze.
Il sistema del bonus-malus si è rivelato un fallimento per gli assicurati: la stragrande maggioranza di essi oggi si concentra nelle prime tre classi di merito e questo non ha portato, come avrebbe dovuto essere secondo i principi originari del sistema, ad una progressiva diminuzione del premio da pagare in rapporto alla condizione di minor rischio per le imprese assicurative.  In tutti questi anni, le polizze bonus-malus alla fine hanno quindi penalizzato soprattutto gli automobilisti virtuosi (per loro è sempre malus-malus), oltre a discriminare, oltre misura ed in  modo generalizzato, i giovani e gli automobilisti delle regioni meridionali che si trovano di fronte ad offerte di prezzo insostenibili.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
  • Abrogazione del tacito rinnovo del contratto RC auto
  • Divieto di modifiche unilaterali del contratto RC auto
  • Revisione del meccanismo del bonus malus
Privatizzazione dell’Inail
PREMESSE
L’Inail è pertanto rimasta una delle poche iniziative strettamente economiche, esercitata in monopo­lio da parte del pubblico. L’attività dell’Inail è del tutto analoga a quella tipica delle compagnie priva­te che operano nei rami infortuni e malattie. Tale monopolio è inefficiente: un ente pubblico, per quanto possano esse­re oculati i suoi amministratori pro tempore, non può classificare i rischi con la stessa appropriatez­za e capacità che viene alle imprese private dall’operare in un contesto di mercato.
Ciò è doppiamente grave perché un’accurata classificazione dei rischi è la variabile cruciale per pre­miare le imprese virtuose sul fronte della sicurezza del lavoro e penalizzare quelle che invece espon­gono i loro dipendenti a rischi elevati. L’approccio alla prevenzione degli infortuni sul lavoro che è prevalso negli ultimi anni in Italia è di tipo formalistico e burocratico, e non considera adeguata mente il ruolo che gli incentivi economici potrebbero ricoprire per stimolare un corretto adeguamen­to agli standard di sicurezza.
In un sistema di mercato, le coperture assicurative sarebbero effettivamente più o meno costose in funzione del rischio cui i lavoratori sono esposti. La concorrenza fra assicurazioni vede vincere pro­prio quelle imprese assicurative che sanno meglio “prezzare” i rischi: è difficile pensare ad un mec­canismo più efficace per indurre i datori di lavoro a misurare i rischi e a investire davvero nella pre­venzione. È praticamente impossibile immaginare che un sistema monopolistico riesca a tenere conto, e a prezzare adeguatamente, i rischi per i lavoratori, che evolvono alla medesima velocità del­le produzioni.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
Contestualmente all’abolizione del regio decreto n. 264 del 1933 che istituì il monopolio dell’Inail, il governo dovrebbe essere delegato dal Parlamento a riformare il settore delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, con i seguenti criteri e principi direttivi:
·         liberalizzare il mercato delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, con soppressione del­le norme vigenti che prevedono riserve legali a favore di soggetti pubblici o privati;
·         aprire all’accesso ed esercizio dell’attività di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro da parte di imprese private di assicurazione o di riassicurazione;
·         definire un obbligo a carico dei datori di lavoro di stipulare, con oneri interamente a proprio carico, una polizza assicurativa per tutti i lavoratori da essi dipendenti;
·         definire un sistema di regole per il mercato residuale, gestito da un organismo a prevalente partecipazione pubblica, al fine di consentire l’assolvimento dell’obbligo assicurativo da par­te dei datori di lavoro che non abbiano avuto accesso alla sottoscrizione di un contratto con imprese private di assicurazione.
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