USA 2012: i poteri del presidente

Stasera si voterà come sappiamo e stra-sappiamo. Ormai gli swing states li conosciamo a menadito, comprese le contee più swing degli swing states. Ci han già sfasciato i marrones per mesi con Obama-Romney e tutta la compagnia (1). Bene, quello che però i media continuano a non spiegare sono le funzioni del presidente e quali sono realmente i suoi poteri. 
Ora, le convention coi palloncini e i discorsoni modello “Alice nel paese delle meraviglie” sono molto fighi. La coreografia e il folklorismo delle elezioni statunitensi sono assolutamente spettacolari e non farsi coinvolgere dai caroselli è estremamente difficile. 
D’altro canto però si sa, alla fin fine è tutta fuffa. Una spettacolare fuffa, ma sempre fuffa è. Tralasciando quindi la “fuffa” che occupa i nostri tubi catodici diamo un’occhiata alla sostanza, In dettaglio, che cazzo fa un presidente degli Stati Uniti? Quali sono i suoi poteri? Diamone un brevissimo riassunto nei gangli fondamentali
Cominciamo dalle caratteristiche che deve avere il presidente che un po’ di nozionismo formalista che male non fa. La Costituzione USA prevede i seguenti requisiti per chi voglia diventare presidente: Dunque se volete diventare la persona più potente del pianeta dovete essere:
-Cittadini USA dalla nascita-> Ergo Arnold Schwarzenegger non può fare il presidente. Da questo punto si origina la surreale polemica sul certificato di nascita di Obama in quanto se questo fosse falso come vuole la propaganda di Donald Trump Obama non sarebbe cittadino dalla nascita 
-Avere compiuto almeno 35 anni
-Risiedere negli USA da 14 anni consecutivi
Negli Stati Uniti attualmente ci sono comunque due persone che pur rispondendo alle tre caratteristiche di cui sopra non possono candidarsi, ovvero Bill Clinton e George Bush junior. Storicamente nessun presidente aveva mai occupato la Casa Bianca per più di due mandati. Era consuetudine accettata il farsi da parte dopo due mandati. Ma si sa, le tradizioni sono fatte per essere infrante e Franklin Delano Roosvelt venne eletto per ben quattro volte di fila. Sicché, una volta deceduto il presidente del “New Deal”  il Congresso decise di emendare la Costituzione e stabilire il limite di due mandati. 
Il governo americano si basa sulla reciproca “non ingerenza” tra il potere esecutivo e il potere legislativo. Il presidente, a capo dell’esecutivo, non può in alcun modo sciogliere anticipatamente il Congresso. Allo stesso tempo, contrariamente a quanto accade in una repubblica parlamentare, il Congresso non può sfiduciare il presidente. Può metterlo in stato d’accusa e rimuoverlo solo per gravissime circostanze e può farlo solo con una larghissima maggioranza.
Nell’era “post-Roosvelt” solo tre presidenti (Kenendy: Carter e Johnson) non hanno mai affrontato un periodo di “governo diviso”, ovvero un periodo in cui uno dei due rami del Congresso è in mano al partito oppositore del presidente.  Tutti gli altri (Truman; Eisenhower; Nixon; Ford; Reagan; Bush sr; Clinton; Bush jr e Obama) hanno dovuto coabitare con un Congresso almeno parzialmente in mano nemica per un certo lasso di tempo. 42 degli ultimi 66 anni hanno visto situazioni di “Governo diviso”
Il principio del “governo diviso” è differente dalla “coabitazione” alla francese. In Francia nei periodi di coabitazione si verifica un ribaltamento delle gerarchie prestabilite che vedono il presidente come capo dell’esecutivo e il primo ministro come mero passacarte e “parafulmine” per gli insuccessi dell’Eliseo. Almeno in politica interna durante le “Coabitazioni” il primo ministro diventa la figura chiave trasformando de facto la Francia in repubblica parlamentare. Negli Stati Uniti invece anche durante i periodi di “Governo diviso” il pallino del gioco ce l’ha sempre e comunque l’inquilino della Casa Bianca. Un Congresso può ostacolare l’agenda di un presidente di colore opposto ma alla fine della fiera, in un modo o nell’altro, il Congresso e il Presidente in caso di “governo diviso” dovranno trovare un accordo per far funzionare le cose e in questi casi è sempre e comunque il presidente che ha la pistola in mano, una pistola carica e i cui colpi sono difficilmente schivabili, una pistola chiamata POTERE DI VETO

Nel potere di veto si ravvisa la grande differenza tra la “coabitazione” alla francese e il “governo condiviso” all’americana. In Francia il presidente ha un potere di veto meramente sospensivo. In caso l’Assemblea Nazionale riapprovi una legge rinviata alle camere dal presidente, l’inquilino dell’Eliseo è costretto a capitolare. Nel caso degli Stati Uniti invece il veto di un presidente è quasi sempre letale. Un presidente può rinviare una legge al Congresso, il Congresso può riapprovarla ma per neutralizzare un veto presidenziale è necessaria una maggioranza dei due terzi in ambo i rami del Congresso. Come ben capite si tratta di una vera arma letale. Ad oggi solo meno del 10% dei veti presidenziali (4) è stato aggirato dal Congresso, questo per darvi un’idea della potenza di questa arma. Spesso basta semplicemente la minaccia di veto per bloccare un processo legislativo o influenzarlo pesantemente emendando una legge di modo che possa “piacere” al presidente. 
Il presidente non può proporre leggi, ma può suscitare una forte pressione sul Congresso perché approvi ben determinati provvedimenti. Anche in periodi di perfetta identità tra Presidente e Congresso comunque, il Congresso è tutto meno che l’approvificio del presidente. Il presidente può fare pressioni molto forti per far approvare la sua agenda politica, ma non è detto che tutti nel suo partito siano d’accordo. La lealtà partitica non è affatto scontata, anzi non esiste il principio di “disciplina partitica”. Un saggio di questa tendenza l’abbiamo avuto nel primo biennio di amministrazione Obama quando i numerosi democratici eletti in collegi conservatori, i cosiddetti “Blue-Dog Democrat” si rivelarono per Obama una spina nel fianco ben più fastidiosa dei TEA Party. Molto spesso per un parlamentare USA l’opinione dei propri elettori conta ben di più di quella del partito. Questo ad esempio differenzia moltissimo gli Stati Uniti dagli altri paesi anglosassoni (UK; Australia; Canada…) dove le ribellioni ai capigruppo (“whips” nel gergo anglosassone) sono fenomeni rari e malvisti. 
Tra le due camere del Congresso la più importante è il Senato. Per l’approvazione dei provvedimenti legislativi vige un regime di bicameralismo perfetto, ma il Senato ha una funzione in più. Il Senato infatti è l’organo preposto alla ratifica delle nomine presidenziali. L’inizio di un mandato presidenziale è spesso occupato proprio dal corposo processo di nomine nell’amministrazione federale (3). La quasi totalità di queste nomine però il presidente le deve basare sul consenso del Senato. I membri del governo, il personale diplomatico, i capi delle agenzie federali, quasi tutti questi membri devono passare lo scrutinio del Senato. Lo scrutinio del Senato è spesso severissimo e durante le audizioni alle commissioni preposte i membri nominati sono messi sotto torchio in lungo e in largo. Non sono mancati casi clamorosi di bocciature anche per l’amministrazione Obama. Il Senato, all’epoca a larghissima maggioranza democratica bocciò ad esempio la nomina di Tom Daschle a ministro della sanità e quella di Bill Richardson a ministro del commercio per via di vicende poco edificanti emersi durante le audizioni.Altro momento molto importante le nomine dei giudici della Corte Suprema e delle corti federali. Un tempo le nomine giudiziarie del presidente erano approvate con largo e trasversale consenso, ma la progressiva polarizzazione della politica e il crescente dibattito sull’attivismo giudiziario della Corte Suprema innescato da Roe vs. Wade (4) hanno reso il processo di conferma delle nomine del più alto organo giudiziario molto più aspro e partigiano. 
Il presidente è anche il massimo responsabile della politica estera. E ovviamente essere il massimo responsabile in politica estera della massima potenza mondiale ha il suo non indifferente peso. Il presidente ha il potere di firmare i trattati, questi però diventano validi tramite l’approvazione del Senato e richiedono la non indifferente maggioranza dei due terzi. Il Senato può comunque emendare i trattati stessi. Un capitolo a parte meritano i “poteri di guerra”. La questione su a chi spetti il potere di dichiarare guerra è da sempre dibattuta. Negli anni ’70 il Congresso decise che era giunta l’ora di porre un freno alle prerogative presidenziali in quel campo.La necessità di chiarire la questione venne alla luce negli anni ’70 quando la guerra del Vietnam stava giungendo alla conclusione. In realtà la “guerra del Vietnam” come la “guerra di Corea” del ’50-’53 non venne ufficialmente dichiarata. In Corea l’intervento venne giustificato sotto l’ombrello delle Nazioni Unite e di una deliberazione del Consiglio di Sicurezza ONU. Il prolungato e via via sempre più impopolare intervento in Vietnam venne invece cominciato con una dichiarazione di Johnson nel ’64 in cui il presidente tuonava “prendere tutte le misure necessarie per respingere qualsiasi attacco armato contro le forze degli Stati Uniti e prevenire ogni ulteriore aggressione” (5). Il Congresso approvò una risoluzione che riecheggiava le parole del presidente dando il via alla “guerra del Vietnam” ma nel ’71 il Congresso decise che era giunta l’ora di “staccare la spina” all’impopolarissima missione vietnamita. Arrivò quindi la “War Powers Resolution” del 1973. La “War Powers Resolution” recita testualmente che il suo scopo è ” assicurare che il giudizio collettivo sia del Congresso che del presidente si applichi all’impiego delle forze armate in ostilità o in situazioni nelle quali l’imminente coinvolgimento in ostilità è chiaramente indicato dalle circostanze.” L’attuazione del “War Powers Act” è controversa e i conflitti tra Congresso e Presidente su questo punto sono innumerevoli. Nella realtà dei fatti l’intenzione del Congresso era “buona” ovvero limitare e controllare il potere presidenziale nell’ambito delle forze armate, in pratica il risultato ottenuto è stato pressochè nullo, come ben sappiamo (6). Il tema è fonte di continue controversie e quando v’è l’ombrello delle Nazioni Unite o della NATO i presidenti del Congresso se ne infischiano sonoramente. Per una volta tocca spezzare una lancia a favore dei vituperatissimi Bush senior e junior i quali prima di andare a far gli avventurieri in Iraq e Afghanistan scomodarono il Congresso chiedendone l’approvazione.
E questo è quanto, ovviamente è una sintesi estrema delle competenze presidenziali e di ciò che comporta l’elezione di un presidente in quanto a responsabilità. Il succo del modello presidenziale americano è che, contrariamente a quello francese, è basato su un continuo duello tra Presidente e Congresso, un dualismo che spesso oltrepassa gli schemi partitici. Di volta in volta il Presidente scaricherà tutte le colpe sul Congresso e viceversa in un regime di ricatti reciproci. Il Presidente è comunque in possesso della “penna magica” che gli consente di avere l’arma più potente in caso di conflitti e di renderlo comunque l’attore numero 1. Nei fatti l’agenda presidenziale è spesso ostacolata, almeno in politica interna dal conflitto col Congresso e dal dualismo, spesso esasperato che si crea fra esecutivo e legislativo. La presidenza ha comunque dalla sua il fatto che il Congresso è impoplare dalla notte dei tempi per cui a priori, in caso di conflitto, l’opinione pubblica tende a dargli ragione. Il modello francese invece, quantomeno dal 2002 (7) prevede, se possibile, un potere quasi senza freni da parte dell’inquilino dell’Eliseo che può contare su ampie, fedeli e ricattabili (Hollande può sciogliere l’Assemblea Nazionale in anticipo, Obama no) maggioranze parlamentari che difficilmente gli creeranno noie nel quinquennato.
Johnny 88
(1) Per inciso, al 99.9% vincerà Obama. 
(3) Circa un migliaio più o meno
(4) La sentenza della Corte Suprema che legalizzò l’aborto nella federazione. E’ mia personale opinione che la virulenza con cui spesso si affronta il tema degli States abbia come peccato originale proprio quella sentenza. Il fatto che non vi sia stato un vero dibattito sia legislativo che nell’opinione pubblica sul tema, ma sia stato deciso a tavolino tramite un’interpretazione piuttosto fantasiosa della costituzione da parte di una Corte di membri nominati è secondo me la ragione per cui quel dibattito continua a tener banco con toni spesso sopra le righe. Visto il tema assai delicato, è consigliabile che avvenga un lungo e corposo dibattito e non che un’interpretazione assai fantasiosa della Costituzione di una Corte di nominati decida di punto in bianco di cambiare le leggi di 46 stati. Opinione personale ovviamente
(5) Fonte vedi nota 2
(6) Ci sono numerosissimi casi di conflitto sul tema e numerosissimi casi in cui la Casa Bianca, di ogni colore politico, dei War Powers Act se n’è solennemente infischiata.  
(7) Ovvero da quando è stata parificata la durata dei mandati di Presidente e Assemblea Nazionale rendendo de facto impossibili nuove “coabitazioni”
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