Olanda e Svezia, due dei paesi più progressisti d’Europa e del mondo, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro si recheranno alle urne per il rinnovo dei rispettivi parlamenti. L’esito è, in entrambe i paesi estremamente incerto.
L’unica certezza è che, da ambo le parti, la destra populista euroscettica ed anti-islamica guadagnerà parecchio, conferma di un trend che sta prendendo piede un po’ in tutta l’Europa Settentrionale (vedi Norvegia, Danimarca e
Finlandia).
L’unica certezza è che, da ambo le parti, la destra populista euroscettica ed anti-islamica guadagnerà parecchio, conferma di un trend che sta prendendo piede un po’ in tutta l’Europa Settentrionale (vedi Norvegia, Danimarca e
Finlandia).
Partiamo dall’Olanda che si recherà al voto fra pochi giorni. Prima una breve introduzione sui partiti in campo. I tre maggiori partiti “storici” dell’Olanda sono: il Partito Laburista, il Partito Cristiano-Democratico (nato negli anni ’70 dalla fusione del “Partito Cattolico” e dei protestanti del “Partito Anti-Rivoluzionario”) ed il Partito Liberal-Democratico.
Tendenzialmente i Cristiano-Democratici ed i Liberal-Democratici sono partiti di centro-destra mentre i Laburisti sono di centro-sinistra, i tre partiti hanno, di solito, un consenso abbastanza stabile (CD e Lab attorno al 25-30%, Lib tra il 15 ed il 18%). Spesso però, sia i Democristiani che i Liberali si sono coalizzati con le sinistre anziché tra di loro. Ai tre maggiori partiti “storici” se ne affiancano altri minori e dal consenso piuttosto fluttuante. A sinistra il “Partito Socialista”, i “Democratici ’66” ed i “Verdi”. A destra invece troviamo i “Cristiani Uniti”, fondamentalisti protestanti, ed il “Partito della Libertà” di Wilders che ha ereditato gli elettori e le tematiche di Pim Fortuyn. Queste elezioni anticipate sono state rese inevitabili dalla caduta prematura del governo del democristiano Balkenende, una bizzarra coalizione tra Cristiano-Democratici, Laburisti e Cristiani Uniti (ad onor del vero, coalizione bizzarra per gli standard
europei. Bisogna dire che in Olanda sono abituati a questo ed altro), che s’è squagliata sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Le elezioni europee e le amministrative di Rotterdam ed Almere avevano dato il chiaro ed
inequivocabile segnale di una svolta a destra dell’elettorato olandese. I disastri delle amministrative di pochi mesi fa avevano anche persuaso i leader
dei due maggiori partiti della sinistra (Laburisti e Socialisti) a fare le valigie e lasciar spazio ad altri. Così, ecco che il vice-premier Wouter Bos si fa da parte per l’ex sindaco di Amsterdam Job Cohen, mentre la bella pasionaria
socialista Agnes Kant lascia il posto ad Emile Romer. Se Atene piange, Sparta
non ride, i Cristiano-Democratici sono in forte affanno, e potrebbero scendere sotto il muro del 20% per la prima volta nella loro storia, con il povero Balkenende ormai bollito e quasi rassegnato alla fine del suo lungo regno decennale. Se Atene e Sparta son messe male, a godere è Tebe, ovvero i Liberali di Mark Rutte, che per la prima volta nella loro storia potrebbero divenire la prima forza del paese. I Liberali si trovano però nella scomoda posizione di “kingmaker”, dovranno decidere se assecondare l’elettorato Olandese e dar vita ad una coalizione con i partiti Cristiani ed il figliol prodigo Wilders (prima di fondare il “PVV” Wilders era esponente di spicco dei Liberali, ed era uno dei più stretti collaboratori dell’ex commissario europeo Bolkestein, famoso per l’omonima e controversa direttiva), oppure, per timore dei diktat di
Bruxelles, svoltare a sinistra e replicare la pasticciata esperienza dei governi “Arcobaleno” di Wim Kok. Coalizzati, i partiti Cristiani, i Liberali e Wilders sfiorerebbero il 60% dei consensi (con i Liberali primo partito e Wilders al 12%), ma, per l’appunto, non sempre i partiti della destra Olandese hanno seguito le indicazioni degli elettori, dando vita a pasticci multi-colore come i governi di Kok e Balkenende.
europei. Bisogna dire che in Olanda sono abituati a questo ed altro), che s’è squagliata sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Le elezioni europee e le amministrative di Rotterdam ed Almere avevano dato il chiaro ed
inequivocabile segnale di una svolta a destra dell’elettorato olandese. I disastri delle amministrative di pochi mesi fa avevano anche persuaso i leader
dei due maggiori partiti della sinistra (Laburisti e Socialisti) a fare le valigie e lasciar spazio ad altri. Così, ecco che il vice-premier Wouter Bos si fa da parte per l’ex sindaco di Amsterdam Job Cohen, mentre la bella pasionaria
socialista Agnes Kant lascia il posto ad Emile Romer. Se Atene piange, Sparta
non ride, i Cristiano-Democratici sono in forte affanno, e potrebbero scendere sotto il muro del 20% per la prima volta nella loro storia, con il povero Balkenende ormai bollito e quasi rassegnato alla fine del suo lungo regno decennale. Se Atene e Sparta son messe male, a godere è Tebe, ovvero i Liberali di Mark Rutte, che per la prima volta nella loro storia potrebbero divenire la prima forza del paese. I Liberali si trovano però nella scomoda posizione di “kingmaker”, dovranno decidere se assecondare l’elettorato Olandese e dar vita ad una coalizione con i partiti Cristiani ed il figliol prodigo Wilders (prima di fondare il “PVV” Wilders era esponente di spicco dei Liberali, ed era uno dei più stretti collaboratori dell’ex commissario europeo Bolkestein, famoso per l’omonima e controversa direttiva), oppure, per timore dei diktat di
Bruxelles, svoltare a sinistra e replicare la pasticciata esperienza dei governi “Arcobaleno” di Wim Kok. Coalizzati, i partiti Cristiani, i Liberali e Wilders sfiorerebbero il 60% dei consensi (con i Liberali primo partito e Wilders al 12%), ma, per l’appunto, non sempre i partiti della destra Olandese hanno seguito le indicazioni degli elettori, dando vita a pasticci multi-colore come i governi di Kok e Balkenende.
Passiamo ora alla Svezia, la maggior potenza della Scandinavia. A Settembre la Svezia si recherà alle urne a quattro anni dalla sorprendente sconfitta dei Social-Democratici che ha portato al potere la coalizione quadri-partitica di Fredrik Reinfeldt composta da “Partito Moderato”, “Partito di Centro”, “Partito Liberale” e “Partito Cristiano-Democratico”. I Social-Democratici, che avevano governato quasi ininterrottamente il paese dal 1936 (salvo due brevi interruzioni ’76-82 e ’91-’94) si ritrovavano schiaffati all’opposizione e al minimo storico in termini di voti (35%). I litigi nella variopinta coalizione di Reinfeldt e la crisi economica che ha messo in ginocchio i due colossi automobilistici del paese, Volvo e Saab, sembravano indicare una facile vittoria per la coalizione “Rosso-Verde” tra Social-Democratici, Verdi e “Sinistra” guidata dall’ex ministro del lavoro Mona Sahlin. Così però non è, la coalizione della Sahlin ha infatti un vantaggio minimo sull’ “Alleanza” di Reinfeldt, ed addirittura potrebbe non avere la maggioranza in parlamento a causa del “terzo incomodo”, ovvero il leader populista euro-scettico ed anti-islamico Jimmie Akesson. Se il partito di Akesson, “Svezia Democratica” superasse lo sbarramento del 4% (ed i sondaggi sono abbastanza concordi sul fatto che lo passerà, specie dopo i tumulti di Malmoe causati dalla comunità islamica) la Sahlin non avrebbe la maggioranza in parlamento e Reinfeldt potrebbe raggiungere un accordo di “appoggio esterno”, simile a quello attuato dai Rasmussen in Danimarca con il “Partito Populista” di Pia Kjaersgaard (formazione euro-scettica ed anti-islamica). Il problema per i “Rosso-Verdi” sembra proprio essere Mohna Sahlin, incapace di catalizzare il malcontento della popolazione ed assai meno popolare di Reinfeldt (se ci fosse l’elezione diretta del premier Reinfeldt vincerebbe 60 a 25). La Sahlin paga alcune questioni del passato (nel ’96 quand’era vice-premier rimase coinvolta in uno scandalo simile a quello dei rimborsi inglesi) ed il fatto di essersi ritrovata leader praticamente per sbaglio dopo il ritiro della grande favorita della vigilia, Margot Wallstrom. I Social-Democratici come partito continuano a non superare la soglia del 34-35%, ed i consensi persi dalla maggioranza vengono intercettati esclusivamente dai Verdi in grande spolvero (8-10% secondo i sondaggi) o dalla destra radicale. Altri due patemi che non fanno dormire la Sahlin e Reinfeldt sono i due alleati minori, ovvero il “Partito Cristiano-Democratico” a destra, ed il “Partito della Sinistra” nel lato mancino, i quali sono in forte ribasso nei sondaggi e potrebbero non passare lo sbarramento. Se uno dei due alleati minori delle coalizioni uscisse dal Parlamento, la sfida sarebbe chiusa, ma l’ingresso o meno delle due formazioni al parlamento si gioca sui decimali. Insomma, una partita quella per Stoccolma che sembrava chiusa ma che le numerose incognite in campo hanno clamorosamente riaperto con un finale che si preannuncia mozzafiato ed assolutamente vietato ai deboli di cuore.