Amburgo, ma non è un test per il governo giallo-nero

Da sempre roccaforte social-democratica, la città-Stato di Amburgo è tornata all’SPD dopo nemmeno dieci anni di interregno. E’ questo in pillole l’esito delle elezioni tenutesi domenica nel primo dei setti Länder tedeschi chiamati alle urne nel 2011. Mentre i quotidiani italiani hanno voluto proiettare i risultati sullo scacchiere politico nazionale, imputando il grave scacco della CDU alla signora Merkel, una lettura più prosaica deve soffermarsi sul carattere locale della consultazione, certo non priva di conseguenze anche a livello federale.Le circostanze che hanno portato il piccolo Land alle elezioni anticipate riassumono con efficacia la natura essenzialmente regionale del voto. Tutto ha inizio con un matrimonio di interesse. Quello tra i cristianodemocratici e gli ambientalisti, che, a seguito del responso ambiguo delle urne, nel gennaio del 2008 diedero vita al primo esecutivo regionale verde-nero. Un unicum nella storia dellaBundesrepublik. Da quel momento incominciò a prendere piede nelle due segreterie l’ipotesi di tale inedita alleanza anche a livello federale. Sotto la guida del liberal Ole von Beust, la CDU amburghese si mostrò pragmatica e incline al compromesso con forze politiche tradizionalmente avverse.
Ma l’entente durò lo spazio di qualche dibattito sui giornali. Presto incominciarono a riaffiorare i classici conflitti sull’energia e sulla politica scolastica. Ed è stato proprio sulla riforma della scuola – in Germania di competenza legislativa dei Länder – che il tandem verde-nero si è sfaldato. Con il referendum che nel luglio scorso ha bocciato il progetto dell’esecutivo di aumentare a sei il numero degli anni delle elementari, lo sforzo di coniugare le istanze cristianodemocratiche con quelle degli ecologisti è ufficialmente fallito. Von Beust ha lasciato il campo libero ad agosto, ritirandosi a vita privata. A dover subire il giudizio degli elettori è stato Christoph Ahlhaus, liquidatore di una stagione politica da dimenticare.
A pagare il fio di quest’esperienza così poco gradita dagli elettori è stata insomma la CDU, vampirizzata dai colleghi di governo ambientalisti. Con un magro 21,9%, risultato peggiore dal dopoguerra, i cristianodemocratici escono con le ossa rotta, ridotti all’irrilevanza in un’altra grande città tedesca a causa delle lotte intestine e dello sforzo innaturale di scimmiottare i colleghi socialdemocratici.
Nonostante le apparenze, neanche l’epilogo ambientalista è roseo. I verdi guadagnano infatti qualche consenso in termini percentuali (11% contro il 9%), ma non in termini di voti reali, complice l’altissimo tasso di astensione – più di quattro amburghesi su dieci sono rimasti a casa.
I socialdemocratici invece trionfano. E lo fanno richiamando alla mente le radici di un passato non troppo lontano. Quello di Gerhard Schröder e, prima ancora, di Helmut Schmidt. Sia l’uno sia l’altro hanno appoggiato in manifestazioni pubbliche il candidato borgomastro, Olaf Scholz. Esclusa l’alleanza con Die Linke e rafforzata l’immagine di una socialdemocrazia non ostile agli interessi dei ceti produttivi, l’ex Ministro del Welfare della Große Koalition ha avuto vita facile sugli avversari, riportando l’SPD su livelli di consensi che ci eravamo abituati a considerare ormai retaggio del passato dominato dai due partiti popolari (Volksparteien).
E’ presto per dire se si tratti di un’inversione di tendenza. Soprattutto se si tiene conto dello scenario assolutamente inconsueto che ha fatto da sfondo al confronto: CDU prostrata, Grüne fiaccati e astensione alle stelle. Certo è che alla Willy Brandt Haus di Berlino i vertici dell’SPD gongolano. Steinmeier e Gabriel hanno perfino tentato di proporsi come responsabili dell’exploit che ha regalato ai socialdemocratici ben il 48% dei consensi. Non diversamente da quanto ha fatto l’establishment liberale, dopo il risultato onorevole, ma non certo sensazionale, registrato dall’FDP. A riuscire nell’impresa di calamitare una parte – molto modesta, a dir la verità – dei voti degli scontenti democristiani e a far rientrare i liberali nel parlamentino dopo più di sette anni, ci ha infatti pensato una trentacinquenne semisconosciuta come Katja Suding e non certo Guido Westerwelle, la cui estrema impopolarità lo ha tenuto lontano da Amburgo per tutta la campagna elettorale.
Che nel teatro politico di Amburgo la signora Merkel c’entri assai poco è insomma evidente. Un sondaggio pubblicato dopo il voto mostra come l’82% dei votanti abbia apposto la croce sulla scheda avendo a mente esclusivamente la situazione del Land. Resta il fatto che anche la Cancelliera dovrebbe ritenersi colpevole di aver più volte strizzato l’occhio, non senza una qualche ambiguità, ai Grüne, ed è ora lei stessa a doverne pagare lo scotto.
Dopo il Nordreno-Westfalia, anche Amburgo cambia colore. E con essa muta aspetto anche il Bundesrat, dove la CDU perde altri tre voti preziosi. Il compromesso con l’SPD diventa oggi più che mai fondamentale. Come già ha mostrato la trattativa delle scorse settimane sull’aumento del sussidio Hartz-IV, saranno i governatori socialdemocratici a fare la differenza su quelle leggi che necessitano dell’approvazione della Camera degli esecutivi regionali. A meno che il caleidoscopio del Bundesrat non sia rivoluzionato dai prossimi sei appuntamenti, tra cui quello del Baden-Württemberg, vero banco di prova per la signora Merkel.
Di Giovanni Boggero

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