Troppo poco tempo per rimediare al disastro del secondo mandato sopravvenuto allorquando il paese iberico festeggiava ancora l’onda lunga di una crescita economica da boom. Erano gli anni del modello Zapatero che coniugava riforme radicali in ambito civile ad un approccio empirico in economia in equilibrio tra socialdemocrazia e mercato. Tutto travolto dall’infuriare della crisi esplosa con la bolla dei mutui subprime americani: la Spagna che aveva basato molta parte del proprio sviluppo impetuoso sul settore ‘immobiliare ne è uscita con le ossa rotte. La crescita si è arenata e la disoccupazione è risalita oltre il 20%. Se poi aggiungiamo la situazione inquietante del deficit di bilancio ed i timori di contagio per il sistema creditizio del paese abbiamo l’idea della tempesta in corso.
Di fronte a questa catastrofe la parte più radicale dell’elettorato socialista ha deciso di contestare l’establishment chiedendo interventi più decisi della mano pubblica in economia e più moralità della classe dirigente. Si tratta dell’oramai celebre Movimiento 15 Mayo, che tanto clamore sta suscitando anche a livello internazionale. Nulla più di una serie dei rivendicazioni ingenue e demagogiche, a ben vedere, ma sufficienti ad accentuare lo sconquasso in casa del principale partito della sinistra spagnola.
Le dimensioni della batosta incassata alle elezioni amministrative del 22 maggio (si votava in 14 delle 18 comunidades autonomicas e in quasi tutte le principali città) ne sono una testimonianza incontrovertibile. Il PSOE perde i bastioni di Castilla-la Mancha, Aragona, Asturie e Baleari reggendo a fatica in Extremadura dove dovrà governare in coalizione con i comunisti della Izquierda Unida. Né meglio è andata alle comunali dove brucia particolarmente la disfatta di Barcellona e la perdita della roccaforte Siviglia. I popolari, dal canto loro, hanno ben motivo di festeggiare: la loro vittoria è schiacciante e permette a Mariano Rajoy di indossare i panni del favorito dopo due sonore sconfitte ad opera del rivale di sempre ed una dura contestazione interna cui è riuscito caparbiamente a resistere.
L’unico rischio serio in casa PP è quello di dare già per vinta la partita sottovalutando, più che l’eventuale riscossa socialista, la presenza destabilizzante di contrasti all’ultimo sangue fra i notabili e le varie anime all’interno della formazione moderata. Esemplare il caso delle Asturie: Alvarez-Cascos, candidato ufficiale popolare sino a qualche mese prima del voto, viene sostituito in corsa e decide seduta stante di metter su una listarella personale. Ebbene, il risultato è il trionfo per il giubilato ed una grana in più per la casa madre che dovrebbe, tuttavia, riuscire a ricucire lo strappo e governare anche in quel di Oviedo. Altra diatriba storica, in casa centro-destra, è quella che divide il Sindaco di Madrid, Ruiz Gallardòn, un moderato e la più oltranzista Esperanza Aguirre, Presidente della Comunidad che insiste nella zona della capitale. Anche qui la tregua dovrebbe essere firmata, dal momento che i due pensavano di battagliare per la poltrona occupata da Rajoy e dovranno, invece, attendere diversi anni, rebus sic stantibus.
Detto dei due principali protagonisti del panorama partitico iberico, resta da aggiungere ancora qualcosa sull’affermazione dell’ UPyD (Uniòn Progreso y Democracia), compagine formata da Rosa Diez,una deputata fuoriuscita dalla casa socialista, che ha raccolto un buon numero di consiglieri in varie regioni e località sottraendoli agli ex-compagni di avventura. Regge bene la Izquierda Unida, cartello che raccoglie il vecchio PCE già guidato, in illo tempore, da Santiago Carrillo, uno dei padri del cosiddetto euro-comunismo, ed altre schegge della sinistra movimentista tra cui gli ecologisti.
Infine, uno dei dati più interessanti che emergono è il successo sorprendente della izquierda abertzale (sinistra di apertura) nei Paesi Baschi: BILDU, questo il nome dell’alleanza fra partitini e movimenti indipendentisti raggiunge il 25%, superato di poco dai moderati del PNV (Partito Nazionale Basco), mettendo in serie ambasce il governo locale guidato dal socialista Patxi Lopez in alleanza proprio con gli autonomisti. Un bel rompicapo visti i rapporti con l’ETA di diversi esponenti di BILDU che ha, comunque, ripudiato qualsiasi utilizzo del terrorismo nella lotta per l’indipendenza da Madrid. Altre note dissonanti provengono dalla Catalogna, dove erano chiamati alle urne i soli elettori delle città. Qui si conferma come dominatrice della scena Convergencia y Uniò, già trionfante alle regionali dello scorso novembre. Pur non sposando le tesi più estreme dei secessionisti catalani, raccolte invece dall’ Esquerra Republicana Catalana e dal neonato patto Solidaritat per la Independencia dell’ex-presidente del Barcellona Joan Rivera, il partito del Presidente Arthur Màs ha accentuato, negli ultimi mesi, la propria insofferenza nei confronti del governo centrale, soprattutto a causa della dura sentenza del Consiglio Costituzionale sulla questione calda dello statuto della regione. Anche qui saranno davvero gatte da pelare per un eventuale governo a guida PP.
Lafayette70
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