Il Pugno del Partito: Manichini ossibuchivori a via Solferino

All’Aquila, sette geologi sono stati rinviati a giudizio in sostanza per non avere saputo prevedere l’arrivo del sisma (ci sarebbe molto da dire su questa bella iniziativa della magistratura, ma ci asteniamo per non creare guai a chi ci ospita). Se un analogo criterio valesse anche per i giornalisti, probabilmente l’intero comitato di redazione del Corriere della Sera finirebbe dietro le sbarre.
Infatti, il più intenso terremoto politico degli ultimi anni ha colpito Milano senza che gli ignari lettori del Corriere, il giornale di Milano per eccellenza, ne fossero minimamente preavvertiti.

Prendiamo ad esempio l’ex vicedirettore Dario Di Vico. Da anni si è fatto cantore e rapsodo dei Piccoli, gli autonomi, il popolo delle partite IVA che lavora e tira la carretta, e che naturalmente divide la sua lealtà tra Berlusconi, uomo del Fare, e la Lega, partito del Territorio. Ora salta fuori che il 65%, dico il 65%, dei lavoratori autonomi milanesi ha votato Pisapia. Possibile che in tutti questi anni di quotidiana frequentazione coi Piccoli il buon Di Vico non abbia trovato che so un piastrellista, un geometra, un pubblicitario che gli abbia preannunciato l’intenzione di buttarsi a sinistra? E’ così che gli ingrati ripagano la sua attenzione? Costringendolo dopo le elezioni all’articolo riparatorio (“La svolta laburista delle partite IVA”)? Come direbbe il milanese Jannacci, se me lo dicevi prima faccio una telefonata, al limite faccio un leasing. E invece niente.

Dice ma per queste cose ci sono i sondaggi. Ed infatti il Corrierone ce l’ha un sondaggista, anzi il principe dei sondaggisti Renato Mannheimer. L’uomo che non sbaglia mai, perché i sondaggi li fa solo dopo le elezioni. Prima, ci propone ricerche illuminanti del tipo “il 28% degli Italiani prova disgusto per la politica”, oppure “Cresce il partito delle elezioni anticipate” o ancora “Torna l’orgoglio di essere Italiani”. Vabbe’ ma le elezioni chi le vince? E io che ne so? Però a cose fatte un bello studio sui flussi in uscita dal PdL non ve lo leva nessuno.

E che dire del quartetto degli ineffabili editorialisti Battista Ostellino Della Loggia e Panebianco, sorta di circolo Pickwick di vecchi matusa rintromboniti, che a forza di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, di circostanziare ogni timida critica al sire di Arcore con una uguale e contraria ai suoi avversari (sì, lui sarà pure un vecchio rintronato che organizza festini con prostitute minorenni, ma anche quel Bersani lì avete visto che brutti manifesti?), hanno finito col rimanere da soli sulla barca di un governo così impresentabile da venire scaricato pure da Feltri e Belpietro. Tanto che dopo le elezioni, mentre la perfino la stampa di destra comincia a chiedersi se Silvio no abbia fatto il suo tempo, Ostellino inchioda la borghesia di sinistra alle sue responsabilità: molti di quelli che hanno votato Pisapia non sanno chi è Beveridge. Estiqaatsi dice: c’è del vero nelle tue parole.

E i retroscenisti di carriera, i Verderami, i Franco, insuperabili nel riferirci ogni movimento di Pionati, ogni sospiro di Scajola, instancabili esegeti dei pollici versi e delle pernacchie del Senatùr (era una pernacchia verso il governo o verso i giornalisti ostili al governo? Ti è sembrata più intensa dell’altra volta o pure lui ormai è stanco)? Mentre loro si aggiravano dietro le quinte a caccia di scoop, sulla scena cambiava tutto: l’Opera, i cantanti, l’orchestra. Escono I Lombardi alla prima Crociata, arriva Hair. Chissà se se ne sono accorti. Magari quando glielo confiderà Quagliarello.

Ed infine, ma non da ultimo, il Direttore in persona, il giornalista dalla schiena diritta, l’idolo delle signore don Flebuccio (copyright Dagospia) de Bortoli. Nei giorni successivi al primo turno elettorale due soli italiani non ci hanno fatto sapere cosa ne pensavano: uno era, per ovvi motivi, Berlusconi, l’altro il direttore del più grande giornale italiano. Chiuso in un impenetrabile silenzio nella migliore tradizione della Mala milanese (mi sun de quei che parlen no).
E d’altra parte lo possiamo pure capire: l’ultima volta per un paio di articoli di troppo Berlusconi lo fece cacciare. Stavolta meglio andarci coi piedi di piombo. E poi, per consultare uno ad uno tutti quelli che comandano al Corriere, di tempo ne serve. Che influenza avranno queste elezioni sui palazzinari? E sulle banche? E sulle assicurazioni? E sulle macchine, gli pneumatici, le cliniche, le scarpe coi pallini, i maglioni colorati? Va là che è meglio star zitti. Chi non fa non falla. 

E così a furia di non fallare, di non smuovere le acque, di mantenere sempre un precario equilibrio, né col governo né con l’opposizione, né coi magistrati né con Lassini, di fare inchieste sì ma sempre senza disturbare i mille manovratori, il Corrierone si è piano piano tagliato fuori dagli umori che covavano in quella borghesia milanese che dovrebbe quasi istituzionalmente rappresentare, e che ad un certo punto ha deciso di fare da sola ed è finita a votare in massa un signore che fino a 5 anni prima sedeva tra i banchi di Rifondazione Comunista. Senza manco fare una telefonata di cortesia a don Flebuccio per avvertire.

La sensazione del Pugno è che ormai il Corriere sia diventato come quei famosi ristoranti milanesi della Galleria, carichi di storia e di gloria ma dove ormai si va per farsi vedere e non per mangiare bene, ed i suoi giornalisti principali (con molte eccezioni però, da Sarzanini a Mucchetti a Ferrarella e Foschi)  siano più che altro intenti ad una vuota esibizione del proprio status di avventori del ristorante chic, come i manichini ossibuchivori del grande milanese Gadda.

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buona domenica
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