Il mappamondo: Somalia, una nazione che non c’è più

Villabruzzi , agli inizi del secolo scorso ,era una tranquilla cittadina somala collegata a Mogadiscio da una moderna ferrovia , adagiata sulle rive dello Uebi Scebeli , dove vivevano in pace italiani e somali, cattolici e musulmani, tra campanili e minareti.
Essa prende il nome dal duca Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi (nipote dell’ Umberto assassinato a Monza al quale evidentemente sarebbero state letali le onorificenze a Bava Beccaris gli) il quale decide di investire molte delle sue fortune , accumulate durante una vita non priva di avventure ed esplorazioni , in attività agricole che faranno la fortuna della città ma anche dello stesso Amedeo , il quale quando nel 1933 muore , decide di farsi seppellire nel paese dei somali vicino al fiume .

La stessa città oggi si chiama Jawhar ed è l’emblema della Somalia attuale. Un ammasso di macerie dove si accalcano decine di migliaia di persone in cerca di cibo e di scampo dalla guerra e dalla carestia .
Dell’antica pace e relativa prosperità non è rimasto nulla . Ma come si è giunti a tanto?

L’annus horribilis per la Somalia è il 1991.
Il dittatore Siad Barre (cresciuto, pasciuto e istruito dall’Italia ) che aveva tenuto brutalmente ma stabilmente le redini del paese, viene defenestrato e ripara in Nigeria . La situazione degenera in brevissimo tempo e poche settimane dopo il paese del Corno d’ Africa diventa un campo di battaglia dove si fronteggiano i signori della guerra , milizie di vario colore, i gruppi dell’estremismo islamico e la criminalità comune (ricordiamo tutti la vicenda di Ilaria Alpi uccisa insieme al suo operatore Miran Hrovatin sulle polverose strade di Mogadiscio mentre indagava su un traffico di rifiuti tossici provenienti proprio dall’Italia ).
Tutta la comunità internazionale lascia il paese , tutte le ambasciate chiudono, tra le ultime la sede diplomatica italiana .
Villa Somalia (sede della Presidenza della Repubblica ) resta vacante e lo resterà per molti altri anni come tutte le altre istituzioni somale .

Nel 1992 verrà mandata maldestramente dall’ONU la missione ” Restore Hope” (composta da caschi blu americani , italiani , belgi , pakistani e di nazioni africane) . La missione sarà tra le più violente e fallimentari e durerà fino al 1995 e sarà raccontata più tardi al distratto pubblico occidentale dal film “Black Hawk Down” di Ridley Scott .
In occidente l’impressione suscitata nell’opinione pubblica dagli avvenimenti somali saranno probabilmente determinanti nella formazione dell’atteggiamento drammaticamente attendista rispetto alla crisi che da lì a poco si sarebbe delineata in tutta la sua gravità in Ruanda .
Anche in Italia vi saranno strascichi ma per lo più giudiziari , aventi ad oggetto le “presunte” torture che alcuni soldati del contingente italiano avrebbero inflitto a somali , divertendosi ad applicare ai genitali dei poveri malcapitati dei fili elettrici .

All’ONU comunque non resterà che prendere atto del fallimento e abbandonare la Somalia al suo destino.

Alla fine degli anni novanta ci sono delle novità.
Una trentina tra clan e fazioni , su pressioni dell’ Etiopia (acerrima nemica storica dei somali…ironie della storia) dell’Uganda , dell’ONU e dell’IGAD (un’organizzazione politica ed economica che comprende i paesi dell’Africa Orientale) si riuniscono a Gibuti e sottoscrivono un accordo, per dare vita a nuove istituzioni nazionali somale la cui debolezza tuttavia risulta evidente da subito.

Le fazioni religiose contrarie agli accordi invece si organizzano nella ” Unione delle Corti Islamiche” di cui gli “Shebaab” (gioventù ) sono la fazione più importante e radicale . Le Corti nel 2006 entrano trionfalmente a Mogadiscio supportati da una popolazione che li vede ormai come gli unici in grado portare ordine e sicurezza . In effetti la debolissima economia somala riparte , riaprono il porto e l’aeroporto che diventano il centro di ogni traffico lecito e meno lecito e Mogadiscio diventa paradossalmente un centro di “anarco-capitalismo ” nel settore delle telecomunicazioni , della telefonia mobile e internet (le tasse non esistono) .

Mentre a sud e sulla costa comandano “islamicamente” le Corti e nell’entroterra a Baidoa trovano rifugio le istituzioni transitorie somale (al cui budget contribuisce anche Roma) prive di ogni controllo effettivo sul territorio , nella parte settentrionale del paese in “Somaliland” si sta facendo strada un sentimento secessionista. Il Somaliland tutt’oggi è de facto uno Stato indipendente fortemente islamizzato ma stabile , non ancora riconosciuto internazionalmente (se non parzialmente dall’Etiopia) sebbene Hergeisa richieda continuamente tale riconoscimento e abbia aperto persino alcuni “uffici di rappresentanza” in giro per il mondo (uno si trova anche a Torino) .

Intanto il controllo delle Corti su Mogadiscio termina alcuni mesi dopo , quando la copta Etiopia terrorizzata dal fondamentalismo islamico alle porte di casa , decide di organizzare una forza militare per appoggiare il ritorno del “Governo Transitorio Federale Somalo ” nella martoriata capitale .
L’ONU fornisce una cornice di legalità con la solita risoluzione .
Gli USA intanto bombardano qualche campo degli Shebaab dove si sospetta possano infiltrarsi simpatizzanti di AL QAEDA.
All’inizio del 2007, dopo durissimi combattimenti (che si trascinano ancora oggi in alcuni quartieri) le truppe etiopi e il Governo Transitorio entrano in Mogadiscio ; più tardi alle truppe di Addis Abeba si uniranno le truppe dell’Unione Africana (burundesi e ugandesi) .

A tutt’oggi la situazione è drammatica. Il governo transitorio controlla solo alcuni quartieri centrali l’aeroporto e il porto mentre le Corti controllano i quartieri periferici e il sud del paese. Mogadiscio resta una delle città più pericolose del mondo e a peggiorare le cose è intervenuta una carestia che ha colpito l’intero Corno d’Africa . Secondo l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati le persone colpite dalla carestia sono 11 milioni e di questi circa un terzo risiedono nella Somalia meridionale.
A queste sconfortanti cifre vanno aggiunti gli sfollati che se prima fuggivano per la guerra adesso lo fanno anche per la carestia tentando di trovare scampo e cibo soprattutto nei campi profughi del Kenya e della regione etiopica dell’Ogaden.
Un aereo di aiuti è partito pochi giorni fa anche da Ciampino.
E’ di qualche giorno fa la notizia che l’Italia (e forse anche il Regno Unito) riaprirà la sua ambasciata (nella zona iperprotetta dell’aeroporto) a Mogadiscio . E’ certamente un segnale positivo ma non si sa fino a che punto utile.
La Somalia di fatto resta abbandonata al suo destino e anche le ONLUS hanno serissime difficoltà a portare sollievo alla popolazione taglieggiate come sono dai signori della guerra e dalle milizie islamiche . La cruda realtà è che la luce alla fine del tunnel non si vede .

Quando nel 1992 la missione ONU “Restore Hope” tentò di riportare in patria le spoglie di Luigi Amedeo di Savoia , la gente di Villabruzzi , ancora legata a quell’italiano , si oppose con forza e infine il duca (col consenso della famiglia) rimase laddove in fondo avrebbe voluto rimanere , preferendo essere seppellito , come soleva dire “in un luogo dove si intrecciano le fantasie delle donne somale piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati “.

Chissà se il duca avrebbe riconosciuto oggi la Somalia.

Dario
Qui trovate le precedenti puntate della rubrica di Dario:
  1. Sud Sudan – Hakuna Matata?

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