USA 2012 FAQ e nuova demografia

I motori si stanno scaldando, le macchine elettorali (e di raccolta fondi) democratiche e repubblicane stanno cominciando a sparare bordate. Obama è in difficoltà, ma rimane ancora favorito, anche se di poco. Curiosamente il suo sfidante potrebbe essere un suo ex compagno di partito, il governatore del Texas Rick Perry, un tempo democratico e nel 1988 tra le più fervide cheerleader di Al Gore, oggi campione dei conservatori. Cose che capitano a Dixieland. Cerchiamo un attimo di porre alcuni punti fermi su argomenti come l’elezione del presidente, rispondendo ad alcune FAQ, e sui cambiamenti demografici

Come avviene l’elezione del presidente?
Com’è noto l’elezione del presidente non è veramente diretta. In realtà ad essere eletti la sera del 6 novembre 2012 saranno 538 “Grandi Elettori”che a loro volta eleggeranno il presidente. Per farla breve ogni stato ha un certo numero di “Grandi Elettori”, numero che è dato dalla somma dei senatori (due per ogni stato) e dei rappresentanti (in proporzione alla popolazione) di ciascuno stato. Ad esclusione di Maine e Nebraska, di cui parleremo dopo, gli stati assegnano i propri “Grandi Elettori” secondo la regola dell’Asso Pigliatutto. Chi ottiene un voto in più dell’avversario prende tutti i voti messi in palio dallo stato. Prendiamo ad esempio il “bellwether” per antonomasia, l’Ohio. Nel 2008 Obama ha ottenuto il 51% dei voti in Ohio contro il 47% di McCain. I 20 voti elettorali dell’Ohio vengono così assegnati in toto a Barack Obama. Grazie a questo principio è quindi possibile che venga eletto un candidato che ha ottenuto meno voti popolari dell’avversario, cosa avvenuta nel 2000 quando George Bush venne eletto pur avendo preso 500mila voti in meno di Al Gore.
Il “faithless elector”
In linea teorica i 538 “Grandi Elettori” sono impegnati a rispettare il mandato dello stato e quindi tenuti a seguire l’indicazione delle urne. Non sempre però lo fanno. A volte la cosa è una semplice svista, che consiste nell’inversione dei nomi dei candidati alla presidenza e alla vice-presidenza. Ciò è accaduto nel 1988, quando un’elettrice della West Virginia per errore votò Lloyd Bentsen come presidente e Michael Dukakis come vice, anziché il contrario. Altre volte invece è una vera e propria forma di protesta politica. Ad esempio nel 2000 un’elettrice del District of Columbia, anziché votare per Al Gore e Joe Liebermann si astenne come forma di protesta per il mancato riconoscimento di Washington D.C. come stato. Questo fenomeno, chiamato “faithless elector”, s’è verificato con una certa frequenza, anche se finora non ha mai cambiato il risultato previsto. Molti stati, per prevenire la cosa, hanno reso palese il voto dei loro Grandi Elettori e hanno previsto sanzioni severe per eventuali “faithless elector”. La vittoria di Bush nel 2000 e il fenomeno del “faithless elector” hanno spesso generato dibattiti sul mantenimento del sistema dei “Grandi Elettori”. Durante i caldi giorni dell’autunno 2000 Hillary Clinton disse che era giunta l’ora di abolire un sistema obsoleto e di cambiare la costituzione per permettere l’effettiva vittoria del candidato più votato. Negli otto anni passati al Campidoglio come senatrice dello stato di New York però la Clinton non diede mai seguito alle sue parole e non propose mai un emendamento costituzionale.
Perché si continua a mantenere questo sistema e non si passa all’elezione diretta?

Personalmente credo che ci siano due motivi principali per cui si mantiene il sistema dei collegi elettorali
1-Il sistema attuale permette ai partiti di concentrare le risorse solo in determinati stati, i cosiddetti “swing states”. Questo sistema de facto lascia fuori dalle campagne elettorali stati enormi e molto dispendiosi come California, Texas, New York e Illinois in cui i partiti spendono pochissimo essendo già a conoscenza del risultato. Il sistema dei collegi permette quindi una razionalizzazione delle risorse economiche. Un sistema ad elezione diretta invece impegnerebbe i partiti in tutta la federazione. In particolar modo i partiti spenderebbero molti soldi nei tre stati maggiori (California; Texas e New York) che al momento non sono considerati tra gli “swing states”.
2-Tra gli “swing states” storici ce ne sono alcuni dimensioni demografiche modeste come New Hampshire, New Mexico, Nevada ed Iowa. Lo status di “swing states” da ai politici locali di questi stati un potere abnorme. I candidati alla presidenza hanno infatti assoluto bisogno del supporto attivo dei politici locali per vincere e gli stessi spesso necessitano di un effetto-traino del candidato alla Casa Bianca per assicurarsi la rielezione, oltre al fortissimo ritorno mediatico che questi stati hanno nei giorni caldi delle elezioni. La fine del sistema dei collegi elettorali toglierebbe potere agli swing states. E’ difatti ovvio che in un’elezione federale con sistema diretto i candidati alla presidenza concentrerebbero le risorse e gli sforzi negli stati più popolati per cercare di rosicchiare più voti possibili. Mettiamo che nel 2012 si voti con questo sistema, un candidato dove investirebbe le sue risorse? In Iowa, dove il risultato è in bilico ma una vittoria per uno 0,5% non cambierebbe quasi nulla sul piano nazionale, o in California e in Texas dove il vincitore è scontato ma perdere col 40% anziché col 39% potrebbe cambiare gli equilibri sul piano federale? Insomma, anche qualora qualcuno decidesse di presentare un emendamento costituzionale in questo senso, troverebbe una fortissima opposizione, assolutamente trasversale, da parte degli swing states rendendo così difficile il raggiungimento del quorum dei due terzi richiesto per emendamenti alla carta costituzionale. Inoltre un presidente che vuole essere rieletto, o un senatore/rappresentante che punta alla Casa Bianca, di certo non va ad inimicarsi i politici degli swing states. Ecco forse perché Hillary Clinton non ha dato seguito alle sue parole.
Maine e Nebraska (e Pennsylvania?) come eleggono i propri “Grandi Elettori”?

La legge elettorale dei “Grandi Elettori” è materia di competenza dei singoli stati. Oggi 48 stati su 50 (e D.C.) eleggono i propri “Grandi Elettori” con la regola dell’asso pigliatutto. Chi nello stato “X” prende un voto in più dell’altro piglia il piatto pieno. Due stati però non assegnano così i propri voti, trattasi di Maine e Nebraska. Come abbiamo detto il numero dei voti elettorali degli stati è dato dalla somma dei senatori e dei rappresentanti di ciascuno stato. Maine e Nebraska assegnano i due voti dei senatori al vincente dello stato, e fin qui tutto liscio. Gli altri voti elettorali (due per il Maine e tre per il Nebraska) vengono invece assegnati al vincitore di ognuno dei singoli distretti alla Camera dello stato. Esempio pratico, nel 2008 il Nebraska diede quattro voti elettorali a McCain e uno ad Obama. Cos’era accaduto? Come da copione il Nebraska votò per McCain, e così fecero due dei tre distretti elettorali. A McCain andarono quindi i due voti dello stato e i due voti dei due distretti della camera. Uno dei tre distretti, il secondo, votò invece di pochissimo per Obama e quindi il voto di questo collegio, corrispondente all’area urbana di Omaha, andò all’attuale presidente. Finora non s’era mai verificato questo fenomeno. La Pennsylvania sta pensando di attuare lo stesso sistema e la cosa ha creato un vespaio, perché? Perché se la Pennsylvania avesse adottato questo sistema nel 2008 McCain avrebbe preso 10 dei 21 voti elettorali dello stato avendo ottenuto la maggioranza dei voti in 10 dei 19 collegi della camera della Pennsylvania. Un sistema di questo tipo applicato a livello federale favorirebbe spudoratamente i repubblicani, i quali con un sistema di questo genere potrebbero pure permettersi di perdere il voto popolare di due-tre punti e prendere la Casa Bianca. E’ ovvio quindi che il GOP tenti di giocare sporco, sfruttando le vittorie alle mid-term per portare stati pesanti come la Pennsylvania (1) verso un sistema che li favorirebbe moltissimo.
E se c’è un pareggio, che succede?

I voti elettorali sono 538. Per essere eletti alla presidenza occorre ottenere la maggioranza assoluta di questi 538 voti. Il numero magico è quindi 270. Cosa accade se nessun candidato ottiene il totale di 270 voti elettorali? La costituzione dice che nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta dei voti elettorali l’elezione del presidente spetta alla Camera dei Rappresentanti. Il voto avviene per delegazione e non per rappresentante. Esempio, se nel 2008 fosse accaduto questo la California avrebbe votato per Obama, il Texas per McCain etc. etc. In questo caso vince chi ottiene il voto di 26 delegazioni su 50. Sarebbe però interessante vedere, qualora si verificasse questa situazione, quale sarebbe il comportamento dei rappresentanti. I rappresentanti avrebbero il coraggio di rovesciare un voto popolare per seguire logiche di partito, oppure, per ossequio alla democrazia che ambo i partiti esportano a suon di bombe rispetterebbero il voto popolare? Ah, saperlo…
Come cambia la demografia del 2012 e chi favorisce
A seguito del censimento, nel 2012 cambierà la ripartizione dei 435 collegi della Camera dei Rappresentanti, e di riflesso cambierà anche la ripartizione dei voti elettorali. Gli stati che aumenteranno o diminuiranno il proprio peso nel collegio elettorale sono i seguenti (tra parentesi aumento o diminuzione il colore è quello del partito vincente nel 2008)
Arizona 11 (+1)
Florida 29 (+2)
Georgia 16 (+1)
Illinois 20 (-1)
Iowa 6 (-1)
Louisiana 8 (-1)
Massachusetts 11 (-1)
Michigan 16 (-1)
Missouri 10 (-1)
Nevada 6 (+1)
New Jersey 14 (-1)
New York 29 (-2)
Ohio 18 (-2)
Pennsylvania 20 (-1)
Sud Carolina 9 (+1)
Texas 38 (+4)
Utah 6 (+1)
Washington 12 (+1)
Facendo i dovuti calcoli, e mantenendo la spada di Damocle dell’eventuale cambio della legge in Pennsylvania, con questa nuova distribuzione i repubblicani guadagnano 6 voti elettorali rispetto a quelli presi nel 2008. La nuova demografia quindi favorisce i repubblicani che ottengono un piccolo guadagno e vedono aumentare anche il peso di uno dei loro principali target, cioè la Florida, in cui tra l’altro incoroneranno lo sfidante di Obama, precisamente in quel di Tampa.
I target dei partit, individuiamo i possibili battleground

Dai pochi e non affidabili dati a nostra disposizione, dai risultati nelle mid-term e con la nostra vecchia “panza s.r.l.” possiamo già fare una lista dei potenziali bettleground, ovvero degli stati che rientrano nelle colonnine “leans” e “toss-up” (colore del partito vincente nel 2008)

D-Leans

Colorado 9 EV

Iowa 6 EV
Maine-2° distretto 1 EV
Nevada 6 EV
Pennsylvania 20 EV
Wisconsin 10 EV

Toss-Up

Florida 29 Ev

New Hampshire 4 EV
Nord Carolina 15 EV
Ohio 18 EV
Virginia 13 EV

R-Leans

Arizona 11 EV

Indiana 11 EV
Missouri 10 EV
Nebraska-2° distretto 1 EV

E’ meglio non fidarsi dei sondaggi che girano in questi giorni. A settembre 2007 un confronto tra John McCain e Barack Obama avrebbe dato un esito diametralmente opposto rispetto a quello dato poi dalle urne un anno dopo, giusto per dire quanto siano affidabili i sondaggi a questo punto della corsa. I dati sulla popolarità di Obama e i risultati delle mid-term potrebbero suggerire questo scenario. In Indiana sembra che i democratici abbiano già gettato la spugna e non abbiano intenzione di difendere il clamoroso risultato del 2008. Metterei anche la Nord Carolina nelle conquiste probabili del GOP, ma i democratici han deciso di tenere la loro convention a Charlotte, città principale dello stato, segno che qui hanno intenzione di lottare. Lo status del Michigan è controverso, io per prudenza lo tengo fuori dalla “zona calda”, però una candidatura di Romney, figlio dell’ex governatore George Romney, potrebbe rimettere in discussione lo stato di Detroit e il risultato delle mid-term suggerirebbe un andamento differente rispetto a quello del 2008 da quelle parti. In Nevada, Pennsylvania e Wisconsin è vero che Obama ha vinto con un distacco in doppia cifra, ma il clima è decisamente cambiato e credo che le circostanze che hanno prodotto il trionfo obamiano non siano ripetibili, pur concedendo il vantaggio al presidente uscente, vantaggio che concedo anche in Colorado ed Iowa. La Virginia nel 2008 è lo stato che più si è avvicinato al risultato finale, quindi diritto tra i TU, Florida e Ohio invece son sempre quelli. Mi si potrebbe rinfacciare troppa sfacciataggine sul New Hampshire. Lo spostamento a destra di cui è stato protagonista il “Granite State” alle ultime midterm è abbastanza impressionante e quindi si può intuire che per Obama il clima da queste parti non sarà facilissimo. Se poi il candidato fosse Romney allora le cose sarebbero molto difficili. Riguardo la colonnina leaning R, ho inserito il Missouri, dove McCain ha vinto con un distacco minimo e l’Arizona. McCain ha vinto lo stato di Phoenix con un distacco di oltre otto punti, ma trattasi dello stato di cui lo stesso McCain è senatore da due decadi. Il risultato è quindi “drogato” di diversi punti. D’altro lato però con la polemica sull’ SB 1070 Obama è riuscito ad annullare tutti i guadagni fatti dai democratici negli ultimi anni dalle parti di Phoenix e a trasformare le elezioni di novembre 2010 in un trionfo repubblicano. Visto il pasticcio sull’ SB 1070, per cui Obama si beccò una sonora rimbrottata anche da molti democratici locali, in primis Gabrielle Giffords, sarei quindi sorpreso di vedere il “Copper State” nei target democratici, ma comunque teniamolo d’occhio.

(1) Altri stati buoni per la furbata potrebbero essere Michigan e Wisconsin, ma al momento non sembra che i repubblicani di questi stati vogliano imitare la Pennsylvania, al momento…

Giovanni
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