Controproposta operativa (e federalista) per ridurre la spesa pubblica.


La riduzione della spesa pubblica è inevitabile a causa delle difficoltà di bilancio, perché la maggior parte dello sforzo dovrà essere diretto nel ridurre il debito pubblico (si spera non solo nel ripagarne gli interessi); ed è fattibile, paradossalmente, proprio a causa degli sprechi insiti nel sistema pubblico italiano. Tuttavia tale riduzione non può avvenire con un semplice taglio dei fondi: si rischierebbe un’inaccettabile riduzione della qualità dei servizi erogati, già ora non sempre eccelsi. Bisogna dunque avere il coraggio di fare due cose:
a) agire sul personale (circa 3,200,000 di statali, che arrivano a 4,000,000 con i dipendenti delle società esterne legate all’amministrazione pubblica) facendo sì che lo Stato e gli Enti Locali siano unicamente deputati ad erogare servizi al cittadino, e non usati come uffici di collocamento per le diverse clientele politiche;
b) responsabilizzare gli enti amministrativi locali sulla spesa pubblica.
Il punto a) permette così sia un risparmio sui conti pubblici, che una una spesa migliore per unità di personale.
Per tutti i servizi verrà determinato un costo standard di base, secondo le seguenti “fasce regionali”:
macroregioni: oltre gli 8mln di abitanti (solo la Lombardia);
grandi regioni: tra 3.5mln ed 8mln (8 regioni);
medie regioni: tra 1.5mln e 3.5mln (4 regioni);
piccole regioni: meno di 1.5mln di abitanti (7 regioni).
Per ogni fascia, il costo standard verrà determinato sulla base della regione più virtuosa, ed aggiornato ogni 10 anni; non potrà mai essere più elevato del costo corrispondente per la fascia di popolazione immediatamente più bassa (economia di scala).
Il costo sarà importante perché, secondo il rapporto PIL pro capite regionale/nazionale, le regioni “ricche” verseranno un contributo di solidarietà nazionale, mentre le regioni “povere” vedranno coperta una certa parte di questo costo standard da tale fondo, in modo da riequilibrare la situazione di base.
Se poi qualche regione volesse spendere di più per il singolo servizio, potrà liberamente farlo, ma coi propri fondi. Il pareggio di bilancio potrebbe essere imposto come obbligo alle amministrazioni regionali e comunali; le prime potranno coprire una parte delle spese dei secondi.
Ecco dunque nel dettaglio la sintesi della possibile proposta operativa per la riduzione del personale:
Polizia, carabinieri ed altri: 320,000 persone; unire a livello regionale tutti i corpi di polizia locale e congedare la massima parte della P.S. e dei CC, in gran parte inserendoli in tali forze regionali, in modo da avere un tutore dell’ordine ogni 300 abitanti, quindi 200,000 poliziotti; formare in sovrannumero a questo una polizia federale di 15,000 unità, una Guardia di Finanza di altrettante unità (la lotta all’evasione sul territorio va però demandata alle polizie locali), e una decina di reggimenti “speciali” di carabinieri per un totale di 20,000 unità con compiti di tutela dell’ordine pubblico, lotta alle mafie ed al terrorismo, eventuale rinforzo agli altri corpi di polizia e missioni all’estero; avremmo dunque 250,000 uomini, -70,000; le forze di polizia dovranno quindi essere obbligatoriamente organizzate in maniera simile alle FF.AA. cioè con ferma massima di 5 anni (nel caso rinnovabile per altri 5 se si hanno meno di 30 anni) tranne che per sottufficiali ed ufficiali (in pratica vuol dire congedare forzatamente chi non riesce a divenire almeno sottufficiale);
dipendenti pubblici locali: 550,000 persone; introdurre il criterio dei costi standard ed abolire le province, con augurabile riduzione del personale degli enti locali di -80,000 unità; ci sarà però poi un aumento dovuto al trasferimento di personale dai ministeri alle regioni (vedi sotto);
dipendenti ministeriali: 240,000 persone; da distribuire sul territorio, assieme alle competenze federali alle regioni; ai ministeri rimarrebbero solo le sedi romane con il personale necessario all’amministrazione federale centrale, che potremmo stimare in 40,000 unità; l’abolizione delle Prefetture potrebbe inoltre portare una riduzione di -10,000 unità di personale sul lungo termine; rapportando il rimanente personale ai parametri di standardizzazione regionale, si potrebbe attuare un’ulteriore riduzione di circa -30,000 unità;
dipendenti della sanità: 640,000 persone; introdurre il criterio dei costi standard, con augurabile riduzione del personale nella sanità locale di almeno -90,000 unità;
dipendenti MIUR: 1,100,000 persone; regionalizzazione totale degli stessi, con abilitazioni e graduatorie regionali (ma tenendo ferma la possibilità di insegnare in regioni diverse dalla propria); introdurre costi standardizzati per regione, e riduzione dell’attuale squilibrio tra materie umanistiche (insegnanti in sovrannumero) e materie tecnico-scientifiche; diminuzione del personale stimata in -160,000 unità;
Forze Armate: esclusi i carabinieri, sono circa 190,000 persone; una riduzione del personale di -10,000/20,000 unità (soprattutto nell’A.M.) è auspicabile; in caso si volessero ulteriormente ridurne i costi, da valutare la reintroduzione della leva al posto di un certo numero di professionisti;
“parastatali” (società esterne ma dipendenti in tutto e per tutto dalla P.A.): 800,000 persone; introduzione dei costi standard e privatizzazione di tali società; riduzione stimata in almeno -120,000 persone.
La riduzione del personale diventa dunque di quasi 600,000 unità su ca. 4,000,000, con un risparmio di ca. il 14-15% sui costi del personale, che potrà essere diviso tra minori spese e migliori spese (dalle condizioni di lavoro del personale ai servizi). La massima parte di questi esuberi sarà semplice frutto della riorganizzazione federale dello Stato, con razionalizzazione delle amministrazioni.
Ovviamente tali misure comportano, con il forte aumento delle competenze, l’autonomia fiscale e finanziaria delle regioni e dei comuni. Quindi la pressione fiscale verrà sensibilmente redistribuita dallo Stato centrale agli enti locali, e da questi amministrata secondo gli interessi e le necessità locali.
Qui si può introdurre la regionalizzazione del debito pubblico, secondo i criteri proposti da Caner (Liga Veneta-Lega Nord). Il debito regionale verrebbe calcolato su 3 criteri (ciascuno pesante per 1/3) e cioè: popolazione; PIL; spesa pubblica storica (bilanci in perdita e residui fiscali negativi). Ogni regione potrà scegliere se accollarsi la quota così determinata di debito, e gestirsela come meglio crede; altrimenti, essa pagherà una quota annuale allo Stato federale (e decisa dallo Stato) per ripagare il debito pubblico nazionale residuo. Vediamo perché potrebbe convenire:
– le regioni più ricche e meglio amministrate potranno gestirsi il proprio debito regionale, con vantaggi che è inutile elencare;
– le regioni meno ricche o peggio amministrate, più lo stato centrale, avranno un debito nazionale che dovrà essere ripagato solo in parte, e che sarà già decurtato in partenza (della quota “accettata” dalle altre regioni) ma garantito da tutta l’Italia.
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