I fattori di crisi dello stato democratico

NdAnd: riceviamo e pubblichiamo questo bel post di G.P., nostro storico lettore e studente di Giurisprudenza. Buona lettura
Nell’ultimo ventennio si è verifica una situazione paradossale: da una lato il modello democratico ha avuto una diffusione senza precedenti, dall’altro lato negli stessi ordinamenti di democrazia consolidata sono emersi segnali di crisi che pongono importanti interrogativi sullo forma di Stato democratico e sulla sua evoluzione. 
Partendo dall’analisi dei fattori di crisi del Prof. Volpi, ordinario di Dir. Pubblico comparato, in questo breve pezzo intendo sottolineare che ciò a cui noi oggi assistiamo non è solo il risultato di un problema di carattere squisitamente economico. Questo è l’effetto non la causa. Per risolvere o, meglio, per avviare un progetto volto alla risoluzione di queste problematiche non si può non avere un approccio multidisciplinare  analizzando le problematiche della forma di stato per eccellenza cioè lo “Stato democratico”.Un ampia discussione è stata svolta, ad opera della dottrina costituzionale, sulle cause di crisi dello Stato democratico.
I fattori di crisi dello Stato democratico – sociale si sono manifestati su tre terreni diversi ma correlati:
  • Economico-sociale
  • Politico
  • Giuridico-costituzionale, che si esprime in diverse forme.  Specificatamente svalutazione del valore della costituzione materiale , svilimento del valore della legge, ridimensionamento dei diritti costituzionali, delle libertà personali attraverso il controllo costante delle attività quotidiane degli individui ( cito ad esempio la Big Brother banca dati americana). Prevalenza del voto di scambio rispetto al voto di opinione e voto di appartenenza. Tendenze leaderistiche che individuano come “inutili orpelli” (il riferimento ci sta) altri organismi costituzionali. Etc etc
Le ragioni della crisi possono essere rinvenuta nella globalizzazione dell’economia, nelle trasformazioni interne alle società occidentali, nel parziale declino dello Stato nazione, nelle difficoltà dello Stato sociale a realizzare i suoi compiti tradizionali.
Per globalizzazione intendiamo il processo derivante dall’applicazione della rivoluzione cibernetica al processo di mondializzazione del sistema economico-finanziario, fenomeno che sfugge orma alla capacità di previsione e controllo dei singoli Stati. Enorme problemi pone allo Stato democratico:
  • Capovolge il rapporto politica-economia, nel senso che la seconda tende a prevalere sulla prima, in quanto si sottrae a scelte politiche del singolo stato anzi ne condiziona le scelte, imponendo un appiattimento verso il basso della tutela dei diritti economico-sociali
  • Il mercato tende ad assumere natura costituente (forza creatrice in sostanza sopra la legge o legge fondamentale) e a divenire il valore dominante, per cui si nega la necessità che venga sottoposto a regole, sostenendo la naturale autoregolazione
In definitiva sono oggetto di contestazione due pilastri dello stato democratico, prevalenza della politica e mercato come “spazio costituito”( quindi derivato, cioè strutturato e disciplinato normativamente) e soggetto a regole e limiti. Ciò è palese nel mercato finanziario sempre più ipertrofico, speculativo e non soggetto a limiti e regole.
Da questo punto di vista si pone l’interrogativo circa la necessità degli stati democratici di un approdo sovranazionale in grado di svolgere una funzione di orientamento e di controllo dello sviluppo economico. Questa sarebbe una prima e importante risposta a un mercato oramai predominante diversamente da chi pensa che tornare indietro sarebbe la soluzione ideale. Come potremmo con una zattera affrontare l’oceano?
Il secondo fattore di crisi deriva dalle importanti trasformazioni sociali avvenute nei paesi democratici. La stratificazione sociale è diventata sempre più complessa e articolata in conseguenza dell’affermarsi di nuovi lavori e di nuove modalità produttive. Pertanto le istanze sociali sono divenuta frammentate e molteplici e lo Stato incontra difficoltà crescenti a mediare e ad operare una selezione tra i diversi interessi, riducendo spesso la propria politica ad una attività di pura distribuzione di risorse.

Le risposte a questo problema sono state diverse. Negli anni 80’ in Usa e in Uk sono state praticate politiche di stampo neo-liberiste incentrate sulla libertà totale del mercato e sulla deregulation insieme a un ridimensionamento dell’intervento statale, del ruolo dei sindacati e delle tutele del lavoro. Le politiche invece socialdemocratiche hanno portato a un ridimensionamento dell’intervento statale volto a criteri di equità e concordato con le parti sociali, mantenimento sotto tutela pubblica di alcuni beni primari (istruzione-salute)costruendo un mercato non assistito ma regolato.  Recentemente il tutto si è appiattito su politiche, indipendentemente dalla natura del Governo, di riduzione della spesa pubblica, privatizzazione di interi settori, risanamento della finanza pubblica. Ricette non risolutive.
Ancora la complessità della società democratica è accentuata dalle dimensioni raggiunte dal fenomeno della immigrazione dal Sud al Nord del mondo che ha influenzato ulteriormente l’incapacità attuale di dare risposte alla pluralità di interessi delle  società democratiche. Basti pensare per tal fenomeno le difficoltà avute circa le politiche di accoglienza,  programmazione e contrasto all’illegalità da decidere sul tema  senza sottovalutare il manifestarsi di rigurgiti xenofobi.

Dalla globalizzazione e dallo sviluppo di organizzazioni sovranazionali, come l’UE, è derivato un ridimensionamento dello Stato nazionale. Purtroppo, male di tutti i mali a mio modesto parere, tale ridimensionamento non può dirsi compensato dall’evoluzione di una istituzione che mantiene ancora un forte deficit di democraticità, derivante dall’inesistenza di un popolo europeo e a livello istituzionale della debolezza parlamentare rispetto a quella governativa.
Accanto a questo ridimensionamento verso l’esterno dello stato nazione si pone un ulteriore sfida interna, crescente, riguardante l’autonomia delle collettività territoriali.
Riguardo la crisi politica dello Stato democratico questa deriva in gran parte dalla crisi dei partiti. Questa è triplice di natura: Ideale, funzionale e strutturale.
Tale crisi determina effetti particolarmente negativi sul sistema politico istituzionale
  • Lievitazione dei costi della politica, compresi i finanziamenti occulti, per mantenere gli apparati.
  • La crisi dei partiti permette l’emersione e l’ascesa al potere di personalità direttamente provenienti dal sistema economico finanziario
  • Tale indebolimento inoltre consente l’emersione di movimenti e di tendenze populistico-plebiscitarie
Nonostante tali degenerazioni va ribadito che lo stato democratico non può fare a meno dei partiti ma ciò richiede che i partiti siano in grado di rinnovarsi ponendo allo loro base valori ed interessi presenti nella società, di adottare procedure democratiche e strutture aperte nei confronti delle società.
L’esistenza di questi numerosi problemi non toglie che lo Stato democratico abbia dimostrato la sua superiorità storica su ogni altro tipo di regime contemporaneo (sia autoritario fascista che comunista).Pertanto occorre la necessità della democrazia di porsi una duplice sfida basata  su due vie correlate:
  • Coniugazione  di efficienza e benessere con la salvaguardia dei propri principi e valori all’interno di ogni Stato
  • Proiettarsi su una dimensione sovranazionale, uscendo dallo Stato nazionale. Non chiudersi in se stessi.
Accogliere questa sfida potrebbe consentire il superamento della crisi attuale che altro non è che crisi  dello stato democratico. Non credo che un rigurgito nazionalista o di ritorno al passato possa essere la medicina per le cause elencate. Non serve tornare a battere propria moneta perché sarebbe una scelta di breve termine che porterebbe successivamente al palesarsi nuovamente dello stesso male, con maggior vigore.  La crisi non è solo crisi economica ma connessa a fattori molteplici. La prospettiva dovrà essere quella di un futuro EUROPEO che possa rispondere alle problematiche non solo economiche (più facilmente avvertibili) ma anche sociali e politiche. La formazione di un popolo europeo e di istituzioni democratiche e incisive. Uniti, con gli altri stati democratici continentali, possiamo affrontare il futuro e accogliere questa sfida che riporti lo stato democratico e i suoi principi ad essere prevalenti rispetto all’anarchia e all’individualismo degli stati nazionali oggi incapace di affrontare i problemi emersi nella realtà. Insomma gli interessi di società complesse come le nostre necessitano di soluzioni forti ed ampie non possibili in un contesto nazionale visto che interessi e relative problematiche hanno dimensione marcatamente transnazionale.
La crisi dello stato democratico è una crisi di abdicazione che ha consentito un contesto economico-politico e sociale nel quale hanno gioco facile, questo si, gruppi di potere economico transnazionali. Insomma io credo che lo Stato democratico sia rimasto indietro rispetto all’evoluzione tecnologica, sociale  e infine economica. E’ essenziale il recupero di questo gap rinnovandosi  e affrontando  i problemi figli di questa evoluzione rimandati per lungo tempo, uscendo dalla ghettizzazione in cui siamo caduti per rilanciare uno stato democratico europeo.
Non solo roba da economisti!

Riflessioni da una lettura di “Libertà e Autorità” Volpi

G.P.

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