La Spagna attraversa un boom economico. Il PIL cresce del 4% all’anno, la disoccupazione è crollata all’ 8% (1) superando pure la Germania, il debito pubblico è sotto il 40% del PIL, e le casse di re Juan Carlos per ben tre anni di fila hanno addirittura registrato un surplus di bilancio. Sull’onda di questi successi Zapatero ottiene abbastanza tranquillamente il suo secondo mandato a Palacio de la Moncloa infliggendo un distacco di 4 punti ai Popolari di Rajoy. La Spagna, undicesimo PIL mondiale e quarto PIL dell’Eurozona, è la potenza europea emergente.
Novembre 2011
La crisi economica travolge la Spagna. Il boom economico degli anni di Aznar e del primo mandato di Zapatero è solo un lontano ricordo. La disoccupazione si impenna al 22% annullando i progressi di dodici anni, quella giovanile sfiora il 50%. Il deficit è passato dal surplus del 2007 (+1,9) al -11,2 del 2009 seguito da -9,3% del 2010. Il rapporto debito-PIL è schizzato dal 36% del 2007 al 61% del 2010 aumentando in termini assoluti del 68% in appena quattro anni (2). Il PIL nel 2008 va in recessione e ci resta per tre anni di fila. Il boom spagnolo di Aznar e Zapatero era una bolla, un castello di carte pronto a crollare al primo soffio di vento. Le tensioni sociali cominciano ad esplodere, i giovani scendono in piazza e protestano formando l’ormai celeberrimo movimento degli “indignados”. I mercati mettono sotto pressione i titoli di stato il cui rendimento schizza in alto. Il PSOE di Zapatero viene demolito alle amministrative in primavera perdendo tutte le comunità autonome in palio, perdendo fortini storici come l’Extremadura e i comuni di Siviglia e Barcellona. Le ultime due comunità autonome rimaste al partito del premier sono l’Andalusia e i Paesi Baschi, per quanto riguarda le altre tredici sono governate dal PP e quattro da partiti regionali. Zapatero annuncia prima la propria rinuncia a chiedere un terzo mandato, aprendo la strada al ministro dell’interno Alfredo Rubalcaba, e poi a luglio chiede a Juan Carlos le elezioni anticipate. Il problema principale della Spagna è un’economia basata sul terziario e sulla bolla immobiliare esplosa nel triennio. L’industria è debole e proprio sul rafforzamento di un settore secondario carente hanno cercato di battere i due sfidanti, Rajoy e Rubalcaba. Mariano Rajoy propone minor tassazione alle piccole e medie imprese, incentivi alle imprese che assumono e maggior spazio alla contrattazione aziendale rispetto a quella collettiva. Rubalcaba concorda sostanzialmente sugli incentivi alle imprese che assumono ma nel suo programma prevede un innalzamento delle tasse sul patrimonio. Rubalcaba propone il rilancio del ruolo dello stato e un piano di investimenti pubblici in economia. Rajoy promette piani di austerità e contenimento della spesa pubblica, mentre Rubalcaba si dice pronto ad andare contro le imposizioni di Bruxelles sul deficit se necessario. Ambo i candidati concordano sul pugno di ferro contro l’ETA e il separatismo basco, lotta contro l’ETA che è stato il capolavoro di Rubalcaba a cui, come titolare dell’interno va il merito di aver inferto i durissimi colpi che hanno convinto i separatisti baschi a deporre le armi. Morte del separatismo basco? Certo che no, anzi. La sconfitta dell’ETA segna una nuova era del separatismo basco la cui formazione di riferimento, Bildu, nata dalle ceneri di Batasuna potrebbe arrivare direttamente al parlamento di Madrid se confermasse l’exploit delle amministrative. Un’opportunità storica per “istituzionalizzare” l’indipendentismo basco e portare la lotta per l’indipendenza dei baschi sul piano politico facendola così uscire dalla semi-clandestinità. E proprio sugli indipendentismi baschi e catalani faccio un’ultima piccola previsione. Con la crisi economica che non accenna a finire e che anzi, manda la Spagna dritta verso l’insolvenza insieme all’Italia, vuoi mai che gli indipendentismi baschi e catalani riescano a trovare finalmente la forza per scappare da Madrid? In Catalogna i due partiti indipendentisti, CIU e ERC hanno già la maggioranza assoluta nel parlamento di Barcellona. Nei Paesi Baschi alle comunali PNV e Bildu avevano insieme la maggioranza assoluta dei voti e il governo Monti in salsa basca presieduto dal socialista Patxi Lopez molto probabilmente perderà la maggioranza nel 2013 a favore di una maggioranza autonomista. Vuoi mai che la crisi economica e il tracollo del regno di Juan Carlos, unito alla maggioranza assoluta degli arroganti post-franchisti in quel di Madrid, pongano le condizioni per una secessione definitiva dei due motori dell’economia iberica? Insomma, vuoi mai che di fronte al tracollo e alle prevedibili arroganti provocazioni degli ottusi post-franchisti, baschi e catalani trovino il consenso e la forza per riuscire a fare le valigie e lasciare la monarchia borbonica al suo destino? Insomma, vuoi mai che di fronte al crollo della baracca, quelli che la tengono in piedi se ne vadano per non esser travolti?
Qui la media degli ultimi sondaggi. Tenete presente che la legge spagnola favorisce i due partiti maggiori (PP e PSOE) e i partiti regionali mentre penalizza i partiti intermedi come Izquierda Unida (3). A livello nazionale risulta un bipartitismo quasi perfetto, a livello locale la situazione è però molto più frammentata. Tra parentesi la differenza con il 2008
PP 46,0% (+6,1)
PSOE 30,9% (-13,0)
IU 7,2% (+3,4)
UPYD 3,2% (+2,0)
Altri 12,7% (+1,5)
Giovanni
(1) Crollata all’8% dal 24% del 1996, anno della prima vittoria di Aznar
(2) I media usano spesso il rapporto debito-PIL come indicatore. Io però credo che l’aumento in termini assoluti del debito sia un indicatore migliore e tendo ad utilizzarlo più spesso. Il debito spagnolo tra il 2007 e il 2010 è passato da 380 miliardi a 640 miliardi aumentando così del 68%.
(3) Vi basti pensare che IU ha attualmente 2 seggi in parlamento contro i 10 dei nazionalisti catalani di CIU e i 6 dei nazionalisti baschi del PNV, pur avendo preso il 4% dei voti contro il 3% di CIU e l’1% del PNV.