Domenica ad est

Domenica elettorale impegnativa ad est con ben tre paesi impegnati nel rinnovo, la Russia di Vladimir Putin, la Croazia e la Slovenia. Partiamo proprio da Putinlandia. Sull’esito finale non ci sono dubbi. “Russia Unita” rimarrà saldamente al comando, ma le opposizioni guadagnano terreno. Quasi certamente il partito di Putin non riuscirà a conservare la maggioranza dei due terzi alla Duma, che consente al partito di Putin e Medvedev di cambiare la costituzione. I bolscevichi di Zjuganov rialzano la testa, così come gli ultra-nazionalisti di Zhirinovsky. Il consenso del partito di Putin viene eroso sia da destra che da sinistra. Il malcontento che pervade l’Europa insomma arriva pure a Mosca, dove è comunque già pronta una nuova staffetta Putin-Medvedev. Lo zar di tutte le Russie tornerà al Cremlino mentre il suo fido scudiero si accontenterà del ruolo di primo ministro. Molti speravano in una rottura tra i due, ma così non è stato. Medvedev ha preferito restare con Putin e rimanere il delfino designato piuttosto che sfidare lo zar con il ruolo di perdente annunciato. Altra corsa quindi per lo zar di tutte le Russie, probabilmente l’unico capo di stato contemporaneo degno di nota e l’unico di cui sentiranno ancora parlare i nostri posteri tra qualche secolo. Un capo di stato dai modi sicuramente discutibili e certamente non amante del dissenso, ma che è stato capace di prendere un paese allo sfascio e riportarlo in cima al mondo, di prendere un paese con tasso di povertà al 40% e riportarlo al 13% e che ha ridotto all’irrilevanza buona parte degli oligarchi che spadroneggiavano nell’era Elstin, a partire dai “martiri” Khodorkovsky e Berzovski. I media euro-americani tentano di dipingervi Putin come un mostro, e c’è da capirli visto che i loro governi grazie all’ascesa di Putin hanno perso molti loro alleati, ma in Russia Putin resta comunque un punto di riferimento per tutti color che all’epoca di Eltsin erano nella miseria pur avendo “la democrazia” e che ora non lo sono più pur avendo un sistema assai meno democratico


Passiamo alla Croazia che, referendum dall’esito tutt’altro che scontato permettendo, si appresta a diventare il 28° paese dell’UE. La politica croata negli ultimi tempi è stata sconvolta da due arresti. Il primo quello dell’ex premier Ivo Sanader, dimessosi all’improvviso a fine 2009 e poi fuggito in Austria, il secondo quello del generale Ante Gotovina ritenuto in patria un eroe, ma un criminale di guerra dalle autorità internazionali. Due colpi molto duri al paese e all’immagine del governo. Dall’indipendenza la repubblica balcanica è stata governata quasi ininterrottamente dall’HDZ. Gli scandali che hanno colpito il partito, costringendo alle dimissioni prima, e alla precipitosa fuga poi, Ivo Sanader hanno gravemente minato la formazione egemone della repubblica balcanica. La premier in carica, Jadranka Kosor, alla guida del governo dopo le precipitose dimissioni di Sanader, è alla testa di un partito al tracollo non solo politico ma pure finanziario. L’HDZ è infatti sotto inchiesta per i fondi neri e le proprietà del partito sono sotto sequestro giudiziario. In questo quadro appare quindi scontato il successo dell’opposizione di centro-sinistra guidata dal giovane e telegenico Zoran Milanovic. La coalizione quadripartitica, composta da socialisti, partito pensionati, liberali e autonomisti istriani, che sostiene l’enfant prodige dei post-comunisti s’è data il bizzarro nome di “kukuriku”. Questo bizzarro nome, che letteralmente significa “chicchirichì” , viene dal ristorante in cui i leader delle quattro formazioni hanno stretto il patto elettorale ormai due anni orsono. Lotta alla mafia e alla corruzione è la parola d’ordine di Milanovic, ma sul passato del giovane dalla faccia pulita c’è una piccola macchia di nome Ivo Sanader. Già, proprio l’ex premier è stato in passato il mentore di Milanovic che lo assunse come consulente nel 1992 quando era vice-ministro degli esteri. Insomma, potrà essere uomo del cambiamento un ex dipendente di colui che è diventato il simbolo del malaffare? Ai posteri l’ardua sentenza

Chiudiamo con la vicina Slovenia. L’esecutivo di Lubiana è stato travolto dalla crisi economica in maniera impietosa. L’esecutivo del post-comunista Borut Pahor è crollato sui pesanti tagli alla spesa pubblica. Gli alleati di coalizione si sono sfilati e al premier socialista non è rimasto altro che chiedere le elezioni anticipate al presidente Danilo Turk. Elezioni anticipate che, salvo clamorose sorprese, vedranno l’affermazione del centro-destra di Janez Jansa premier scalzato da Pahor nel 2008. Per i post-comunisti si avvicina un tracollo di proporzioni storiche, il partito social-democratico è infatti accreditato del 10%, un terzo di quanto ottenuto nel 2008. Vero rivale di Jansa è stato il sindaco di Lubiana Zoran Jankovic, rappresentante della minoranza serba. Il suo partito personale “Slovenia Positiva” è una delle sorprese nei sondaggi che lo accreditano quasi al 20%. La campagna pure qui, è stata condizionata da scandali, che han colpito lo stesso Jansa. Non siamo ai livelli della Croazia, ma poco ci manca. Il quadro politico che uscirà dalle urne sarà alquanto frammentato, con molte forze nuove e ancora difficilmente collocabili nei tradizionali schieramenti in grado di passare lo sbarramento del 4%.

Giovanni
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