Un paese culturalmente lontanissimo , quasi fiabesco , si potrebbe quasi dire l’essenza stessa dell’Oriente.
Gli inglesi se ne resero conto quando misero piede in questo misterioso angolo di Asia incastonato tra la perla dell’Impero ovvero l’india e il reame , miracolosamente conservatosi indipendente , del Siam .
Benvenuti in Birmania : “il paese delle grandi anime” , questo infatti il significato della parola sanscrita “Baarma ” , storpiata poi nella lingua dei colonizzatori inglesi in ” Burma ” .
Oggi in realtà questo paese di 50 milioni di abitanti , grande il doppio dell’Italia e abitato da una decina di etnie gelosissime della propria autonomia si chiama Repubblica dell’Unione del
Myanmar .
Il paese , a dispetto della propria originalissima cultura millenaria , è sempre stato preda degli appetiti di altri popoli. I primi furono i mongoli, poi i thai , poi arrivarono i cinesi e infine arrivò al seguito dei colonizzatori inglesi (1886) anche una folta comunità di indiani.
Con la seconda guerra mondiale giungeranno le truppe giapponesi scuotendo violentemente la nazione e procurandole vaste distruzioni . L’indipendenza sarà proclamata da Londra solo nel 1947 quando lo Stato assumerà le forme di una unione federale .
Da sempre il Myanmar è fra i paesi col più basso reddito pro capite della regione . Il commercio e le attività economiche del paese che fino al 1947 erano in mano cinesi e indiane vengono espropriate e nazionalizzate dal governo . Viene nazionalizzato perfino il commercio al dettaglio degli alimentari e i mercatini dei villaggi rurali dove i contadini portavano il misero surplus di una produzione di sussistenza. Ovviamente fu il caos e il mercato nero .
Soltanto negli anni ’70 , le giunte militari (appoggiate dal Siam che nel frattempo era diventato , da un pezzo , Thailandia) fecero marcia indietro tornando a timide forme di liberalizzazione.
Le fabbriche e le imprese nazionalizzate e mal gestite da fedelissimi del regime procuravano sempre minori introiti per lo Stato . I minori proventi delle esportazioni di legname pregiato, pietre preziose e riso finirono per rendere problematici i pagamenti degli interessi sui prestiti esteri inoltre l’isolazionismo non favoriva nemmeno turismo nonostante l’immenso patrimonio culturale e paesaggistico .
La paziente popolazione birmana divenne col tempo sempre più insofferente nei confronti di un potere che per sopravvivere doveva mantenere un controllo asfissiante e un’amministrazione inefficiente e corrotta.
Nel 1988 imponenti rivolte studentesche inducono il regime del generale Maung a concedere libere elezioni che vedono trionfare la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung Sa Suu Kyi (figlia di un generale comunista eroe dell’indipendenza e della lotta contro i giapponesi ) .
Il regime non ci sta , dichiara illegale il movimento democratico e fa mettere agli arresti domiciliari la donna , verso la quale in tutta la Birmania ci si riferirà, da allora, con rispetto e quasi venerazione solo come “the lady” . Nel 1991 le viene conferito il premio Nobel per la pace .
Nel 2007 saranno i monaci buddisti con le loro proteste a riportare alla ribalta il paese , colorando con l’arancione delle loro tuniche le immagini dei nostri distratti telegiornali che si dimenticheranno tuttavia prestissimo di loro.
Aung Sa Suu Kyi sarà liberata solo nel novembre 2011 , un anno dopo le ennesime elezioni farsa che hanno visto trionfare il listone unico dei generali.
Qualcosa però pare muoversi sulle rive dell’Irrawaddy .
E’ di qualche giorno fa infatti un’ importante visita , quella del segretario di stato americano Hillary Clinton che recandosi nella nuova capitale birmana , Naypyidaw (costruita in mezzo alla giungla proprio , per ironia della sorte, nel timore di un’invasione americana) segna un cambio di passo delle politiche del Foggy Bottom verso un paese che sin ad ora era visto come marginale , al più una multiproprietà cinese indiana e thailandese .
Gli americani cercano quindi di recuperare il tempo perduto in questo quadrante e la Clinton oltre a incontrare il generale Thein Shwe incontra significativamente anche Aung Sa Suu Kyi . La leader della Lega Democratica detiene infatti ancora oggi una credibilità enorme all’interno della società birmana, i generali lo sanno e questo li spinge a trattare “the lady” col massimo riguardo .
Ciò che però altrettanto sanno molto bene è che questa “nuova via” , che conduce se non verso la democrazia quanto meno verso un maggiore grado di partecipazione alla vita politica nazionale , inaugurata qualche mese fa con il varo di un governo non completamente militare , sarà in realtà una strada assai contorta che porterà necessariamente ad una limitazione dello spazio di manovra per la Birmania stretta tra il dragone cinese e la rediviva aquila americana.
Lo Zhognanhai (il governo cinese) per il momento si è limitato ufficialmente a fare buon viso a cattivo gioco ma la stampa cinese ha già attaccato Washington e la visita è stata vista come un ennesimo tassello del piano americano di accerchiamento anti-cinese .
E’ probabile che l’ottimismo dimostrato da parte della stampa occidentale per questi timidissimi passi birmani sia mal riposto , sicuramente prematuro.
Pechino possiede infatti ancora oggi enormi investimenti (idroelettrico , gas, infrastrutture portuali , oleodotti ) nel paese dei generali ed è consapevole che le fondamenta dei suoi rapporti con la Birmania sono solidissime come granitica si conserva , anche la sua influenza politica su Naypyidaw , le cui autorità , non a caso, si sono curate di incontrare e rassicurare Pechino già alcuni giorni prima della visita dell’esponente della diplomazia americana.
Le danze anche sul Golfo del Bengala posso dirsi aperte.
I Birmani sceglieranno l’aquila o il dragone?
Dario
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