"Le Idi Di Marzo" ovvero se pure Hollywood scarica Obama

Stephen Meyers (Ryan Gosling) è un giovane guru della comunicazione estremamente idealista. Insieme all’anziano Paul Zara (Philipp Seymour Hoffman) dirige la campagna presidenziale di Mike Morris (George Clooney) enfant prodige della politica a stelle e strisce e governatore della Pennsylvania che si sta giocando la nomination democratica in un testa a testa al cardiopalmo con il senatore dell’Arkansas Ted Pullman (Michael Mantell). Il partito repubblicano è privo di idee e candidati decenti e viene ritenuto praticamente fuori dai giochi. Le primarie democratiche in sostanza sono le vere elezioni. Il carosello delle primarie liberal è ormai giunto in Ohio, lo swing state per antonomasia. Oltre all’Ohio a fare da ago della bilancia c’è il senatore Thompson (Jeffrey Wright), terzo classificato alle primarie ormai ritirato e che, strada facendo, ha raccolto ben 300 delegati e inoltre rappresenta la ghiotta Nord Carolina per una curiosa coincidenza del destino tappa successiva delle primarie. Morris conta su circa 2.000 delegati contro i 1.400 di Pullman, i sondaggi sull’Ohio lo danno di poco avanti e Paul Zara sembra sicuro di aver convinto il senatore Thompson a dargli l’appoggio. Stephen Meyers crede realmente in Morris. Quando parla con la giornalista Ida Horowicz (Marisa Tomei), di cui lui e Zara sono le fonti privilegiate, lo dice chiaramente. Per lui Mike Morris è l’unico che può raddrizzare la situazione, per lui non è una campagna come le altre, questa volta non è un lavoro qualsiasi, questa volte sta supportando un candidato in cui crede ciecamente. Insomma, la giovane promessa della comunicazione politica crede realmente nel governatore della Pennsylvania come unico possibile salvatore della patria. Tutto va per il meglio dunque e Mike Morris conquista la nomination in pompa magna, o no?  No, non tutto è deciso come sembra. Tom Duffy (Paul Giamatti), capo della campagna di Pullman è convinto che la situazione possa essere ribaltata. Duffy chiede a Meyers un incontro segreto che il giovane enfant prodige accetta riluttante. In quest’incontro Duffy chiede a Meyers di cambiare campo. Per Duffy Pullman vincerà in Ohio, i repubblicani infatti pianificano di infiltrarsi alle primarie e votare in massa per il senatore dell’Arkansas che ritengono il candidato più debole tra i due rimasti. Per i repubblicani una sfida contro Morris sarebbe persa in partenza ma non contro Pullman con cui avrebbero qualche scarsa possibilità di spuntarla. Inoltre Duffy comunica che Thompson appoggerà Pullman in cambio del dipartimento di stato. Meyers non accetta e se ne torna sdegnato al quartier generale di Morris tenendo, per il momento, segreto l’incontro con Duffy a Zara e Morris. Nel frattempo il nostro giovane rampollo sfoga i suoi ormoni stringendo una proficua trombamicizia con l’avvenente ventenne Molly Stearns (Evan Rachel Wood),  stagista del team di Morris e figlia del presidente del partito democratico. Al termine dell’ennesimo amplesso tra i due allupati piccioncini, Meyers scopre una sconcertante verità. Molly è incinta e il padre del bambino della licenziosa stagista è niente di meno che Mike Morris in persona il quale ha festeggiato a suo modo la vittoria in Iowa. Il tentativo di coprire la cosa da parte di Meyers e la contemporanea scoperta da parte di Paul Zara dell’incontro segreto tra Meyers e Duffy innescheranno una tragica e turbolenta spirale di eventi. Perché è noto, a un presidente USA è permesso tutto, meno che scoparsi una stagista.

Sconcertante e spiazzante thriller politico tratto dalla pièce teatrale “Farragut North”, sapientemente diretto da George Clooney e film d’apertura alla mostra del cinema di Venezia. Un thriller politico che vuole essere una denuncia sul sistema politico americano, ma non solo segna forse un grande cambiamento nella tradizione politica del cinema. Tutti sappiamo infatti che Hollywood è la grancassa della più gretta propaganda liberal dalla notte dei tempi. Si sa, in ogni produzione hollywoodiana i valori conservatori e cristiani sono costantemente sbeffeggiati. I conservatori e i cristiani sono sempre rappresentati come personaggi malvagi e/o stupidi, e ovviamente i progressisti sono sempre i buoni, gli eroi senza macchia e senza paura. Stavolta invece no. Stavolta George Clooney lo dice chiaro e tondo, stavolta gli stronzi sono i democratici. La sporcizia, gli accordi sottobanco, i ricatti, i rancori e le meschine vendette personali in politica non hanno colore. Un film populista e qualunquista di stampo grillino del genere “i politici sono tutti uguali”? No, è diverso. Il populismo di Clooney è molto più raffinato e oltre che di  denuncia è quasi la presa di coscienza di come la democrazia ci stia sfuggendo di mano. Una presa di coscienza ben rappresentata proprio dal personaggio di Stephen Meyers, ben interpretato da un sorprendente Ryan Gosling meritatamente candidato al Golden Globe come miglior attore drammatico. Ryan Gosling, ben aiutato dalla regia di Clooney, riesce a rendere l’idea di questo bildungsromane e riesce, con una espressività inaspettata (1), a farci vedere l’evoluzione di Stephen da giovane romantico pieno di ideali a cinico figlio di puttana vendicativo e senza scrupoli. Una maturazione del personaggio che è pure la maturazione della società contemporanea, sempre più disillusa e lontana da una democrazia mai come oggi di facciata. Un film imperdibile per tutti gli appassionati di politica, che ha raggranellato quattro meritate nomination ai prossimi Golden Globe (miglior film drammatico, miglior regista, miglior attore drammatico e miglior sceneggiatura). Durante tutto il film sono palesi ed evidenti i riferimenti a Barack Obama e alle primarie del 2008. Come nel 2008 la vera sfida è quella interna al partito democratico. Come nel 2008 i repubblicani cercano di fare i guastatori votando in massa per il candidato percepito come più debole, nella finzione il senatore Pullman nella realtà Hillary Clinton (2). Viene così riecheggiata la cosiddetta “operazione caos” architettata da Rush Limbaugh per aiutare la Clinton contro Obama. Altro richiamo il “terzo incomodo” il cui endorsement è atteso con trepidazione è un senatore della Nord Carolina, nella finzione Thompson nella realtà John Edwards. Altri evidenti richiami ad Obama l’icona che rappresenta Morris, palesemente ispirata alla celeberrima opera di Shepard Fairey, lo stile messianico di Morris e la sua abitudine a leggere i discorsi al tele-prompter pari pari a Obama. Le promesse di Morris di un’America più pacifica, di tassazione ai ceti più elevati e di maggior utilizzo di energie pulite ricalcano quelle di Obama. Insomma, un bello schiaffo all’inquilino della Casa Bianca proprio da quella Hollywood che quattro anni fa l’aveva sostenuto come un sol uomo ripudiando pure Hillary Clinton. Dopo Tony Blair, massacrato da Polanski in “Ghost Writer”, Hollywood demolisce un altro politico progressista di cui si era perdutamente innamorata e da cui, evidentemente, si sente tradita. Perché se perfino Hollywood scarica Obama, cosa rimane a “The One”?

Voto: 8,5

Giovanni

(1) Inaspettata perché in “Drive” era decisamente insipido. Non che il ruolo del giustiziere bietolone richiedesse chissà cosa per carità, ma Gosling aveva veramente l’espressività di un pesce lesso

(2) Contrariamente a quanto dice la canea mainstream Hillary Clinton era, per una lunga serie di motivi, molto più debole di Obama come candidato. E i sondaggi verso aprile già indicavano l’ex First Lady come più abbordabile di Obama

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