Giuseppe Sandro Mela
Churchill. Fonte: Wikipedia.
                La svolta epocale che stiamo vivendo nel mondo é caratterizzata dal coma irreversibile delle idee illuministe.
                 Il peccato mortale dell’illuminismo é stato quello di rinunciare  all’uso della logica, da cui deriva il credere essere vero ciò che si  vorrebbe che lo fosse, da cui deriva infine il ritenere fermamente  possibili e realizzabili le utopie.
                Il nodo è il misconoscimento del principio di non contraddizione.
                La conseguenza é semplice: non esiste la verità, ma esistono plurime verità, tutte vere e tutte degne.
                Per chi guarda obiettivamente, questa affermazione suona farsesca e grottesca. In primo luogo,  perché si enunzia come verità assoluta il fatto che esistano verità  plurime. La contraddizione è lampante: se esistessero verità plurime non  si potrebbe emettere nessun enunciato, cosa che avviene invece  enunciata con sussiegosa alterigia. La matematica semplicemente  scomparirebbe, e con essa il più potente strumento logico per descrivere  le leggi della natura. Ma se le leggi della natura sono rappresentabili  in termini matematici, ne consegue che anch’esse sono logiche, ossia  non contraddittorie: quindi, anche la natura segue il principio di non  contraddizione. In secondo luogo, perché se esistessero verità  plurime, esse sarebbe contraddittorie le une con le altre, e quindi non  vere. Si ritorna alle argomentazioni precedenti.
                 Tuttavia quell’enunciato è terribilmente comodo, se ovviamente si è  dalla parte vincente, la cui “verità” è quella “vera”, mentre le altre  sono fanfaluche. E’ un modo ingegnoso per rivestire di bella stagnola un  castagnaccio e spacciarlo per cioccolata. Il dramma è che c’é sempre  qualcuno che ci crede, che lo vive a livello religioso. In poche parole  lo mitizza. “Il popolo è sovrano, se comando io e faccio ciò che mi  aggradata”.
                Una delle tante utopie é la così detta “società dei diritti“.  Ecco così un continuo fiorire dei più disparati diritti, che  immediatamente quanto modestamente sono subito definiti “sacri ed  inalienabili”. Svincolati dai rispettivi doveri, e rifiutando la logica  non contraddittoria, se ne possono elencare a piacere un’immensa  quantità.
                 C’é tuttavia una differenza abissale tra la proclamazione di un diritto  (vero o presunto) e l’imposizione del suo rispetto. Il fatto che si  dica che esista un diritto alla vita non ferma certo le mani omicide.
                 Se si riesce a deideologizzarsi ed ad utilizzare un minimo di sano buon  senso, appare immediatamente evidente che i diritti sono conquistati  con lacrime, fatica e sangue, e devono essere difesi in modo altrettanto  cruento. Un esempio per tutti: quando l’allora Unione Sovietica fu  invasa, a nulla servirono i richiami al suo diritto di esistere come  nazione. Fu semplicemente ed unicamente l’Armata Rossa a ristabilire le  cose.
                 Certo esistono delle Corti Internazionali e strumenti operativi del  genere, ma un giorno o l’altro dovremo pure porci il problema di quale e  quanto potere esecutivo esse abbiano in realtà. Esse avevano valore  fino a tanto che dietro di loro stavano eserciti di tutto rispetto e la  volontà di usarli all’occorrenza.
                 Facciamo un esempio eclatante. Il 17 aprile 1975 i Kmer Rossi andarono  al potere in Cambogia, ove instaurarono una classico regime comunista.  Non stupisce quindi il fatto che  «il regime dei Khmer Rossi abbia causato la morte di circa 2,5  milioni di persone attraverso carestia, lavoro forzato ed esecuzioni.»  Certo, vi furono timide condanne ufficiali, ma la soluzione venne quando  il 22 dicembre 1978 le truppe vietnamite invasero la Cambogia. Si  notino anche i silenzi omertosi su questi immani massacri da parte di  tutto il così detto mondo civile, anche da parte di coloro che in un  recente passato furono oggetto di sterminio, e che per questo imputarono  di colpevole silenzio mezzo mondo. Parole, parole, ma solo il Vietman  intervenne a por fine al genocidio. E quante persone in Occidente  votarono Partiti politici che sostenevano il regime dei Kmer Rossi!  Complici? Sì complici. Sapevano ed avvallavano.
                Due pesi, due misure: questo il risultato delle verità plurime. 
                 Ciò detto, per inquadrare in estrema sintesi il problema, vorrei  raccogliere e valorizzare un intervento del nostro Maurizio Blondet, che  in un trafiletto breve quanto acuto affronta il problema della sostenibilità dei  brevetti, riportando un breve di William Pfaff. Lo riporto tale e quale,  perché parafrasandolo lo rovinerei.
«La Cina contro i Nasi Lunghi. Di nuovo.“Dalla lettera di un amico che vive a Pechino traggo la seguente osservazione: ‘Un importante avvocato di Pechino mi ha detto che molto del lavoro del suo studio consiste nel liquidare società miste germanico-cinesi, allo scopo di indurre il partner tedesco ad andarsene. I tedeschi si trovano a competere, in altri paesi, contro tecnologie cinesi che sono state copiate da ditte tedesche, riprogettate per abbassare i costi. Il mio amico aggiunge che a suo parere la Cina ‘è nella fase iniziale del suo ricorrente rifiuto storico delle influenze straniere, e ciò renderà impossibile per la Cina sviluppare l’ampia cultura dell’innovazione che esiste in Occidente’. Il mio amico è un ingegnere”.William Pfaff, “A Sad Story”, Herald Tribune, 31 gennaio 2012. (William Pfaff è il commentatore principe, da mezzo secolo, dell’International Herald Tribune).»
«Il brevetto (o più propriamente brevetto per invenzione) è un titolo giuridico in forza al quale al titolare viene conferito un diritto esclusivo temporaneo di sfruttamento dell’invenzione in un territorio e per un periodo ben determinato, e consente di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare la propria invenzione senza autorizzazione»: così é definito da Wikipedia.
                L’enciclopedia online é molto chiara: «in un territorio e per un periodo ben determinato».
                I problemi sorgono sia quando chi non rispetta i brevetti vive fuori dal «territorio … ben determinato», sia quando non si riconosce la legislazione internazionale a riguardo.
                 Sia la Germania sia l’Occidente in senso lato é di fronte adesso al  cuore del problema: genera scienza, i cui risultati terminano in  brevetti, che né sa né può difendere.
                 Non hanno né potenza economica, né potenza finanziaria, né potenza  militare per imporre il rispetto dei diritti di brevetto. Ma,  soprattutto, mancano della volontà di farlo, come se si fossero bevuti  il cervello. Non fumano tabacco, ma si drogano allegramente, non solo di  droghe, ma anche di debiti e di ideologie. Churchill fumava splendidi  sigari, ma non fece mica mettere i piedi in testa alla Gran Bretagna.
                A questo punto non sembrerebbe necessaria una grande fantasia per immaginarsi il futuro.
                Ma la colpa, e di colpa si può parlare, é solo ed unicamente dell’Occidente. Spengler aveva davvero ragione.
                Pongo adesso una domanda ai Signori Lettori:
                Siete o meno d’accordo con la frase di Vegezio: «Si vis pacem, para bellum»?
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