Giuseppe Sandro Mela
Di questi tempi é diventato di moda parlare di “trasparenza”. Per esempio, nel santo nome della lotta al riciclaggio ed alla evasione fiscale si mettono severi limiti a prelievi ed operazioni in contanti: tutto deve essere tracciabile, tutto deve essere trasparente. Lo scotto che si paga é che il denaro rimane ghettizzato all’interno dei circuiti bancari, che davvero non lo disdegnano: sono come gli Ebrei ad Auschwitz. Si dubita che Totò Mano e Pece adoperi in bancomat per ritirare i proventi delle protezioni, né che i puscher rilascerino regolare fattura: per loro nulla cambia.
Di fronte ad una così incisivo obbligo alla trasparenza non sembrerebbe però corrispondere altrettanto da parte delle Autorità. Alcuni esempi. Ad oggi non esisterebbe alcun impedimento a che il bilancio analitico di Stato, Regioni, Provincie e Comuni, nonché partecipate, fossero messe in linea per libera consultazione. Attenzione: analitico, non aggregato.
Similmente, assicurazioni e banche si autoproclamano lastre cristalline di trasparenza, ma i loro bilanci non sono pubblici nel dettaglio. Si possono trovare schemi riassuntivi sintetici, mai i dati analitici.
Un ultimo esempio è la quasi impossibilità di ottenere dalla pubblica Autorità le serie storiche analitiche di una larga serie di dati, oppure ciò è possibile ad un costo così elevato da renderle inaccessibili al comune Cittadino.
Lasciamo agli esperti di morale e di etica il giudizio su questi comportamenti. Qui é solo necessario constatare che mentre é imposta trasparenza al Cittadino, le Autorità se ne guardano bene di manifestarla, cosa che lascerebbe sbrigliare la fantasia di ogni buon malpensante: niente trasparenza, niente onestà. Ma noi non siamo malpensanti.
Un altro punto di grossolana mancanza di trasparenza é costituito dalla straordinaria reticenza nel riportare le metodologie, o le specifiche utilizzate per ottenere un certo quale risultato. Quasi invariabilmente non si riesce a capire da dove possa venire un certo tipo di dato. Non diciamo che siano errati. Sono solo la corretta risultante di un metodo ignoto o poco chiaro. Spesso però le metodologie impiegate sono visibilmente scorrette, ed il livello di errore metodologico è talmente grossolano da lasciare molto dubbiosi sulla buona fede di chi ha ordinato di eseguire i conti in un certo modo.
Un caso per tutti è l’uso generalizzato indici indicatori di una tendenza centrale di una serie di dati. In altri termini, disporre di un unico numero che rappresenti, grosso modo, l’intera serie senza dover riportare tutti i dati.
Usualmente si usa in economia la media aritmetica. Data una serie x di n dati, il suo valore Ma é ottenuto dalla seguente formula:
In parole povere: somma dei dati diviso il numero dei dati stessi. Questa formula deriva però da un ben preciso modello matematico, ove il parametro μ risponde a questa caratteristica:
Il valore del parametro μ ricercato é quello che rende minima la somma degli scarti al quadrato. Tra le tante caratteristiche, la media aritmetica non pesa i dati estremi, ossi i più piccoli ed i più grandi. Si può ricorrere alla media trimmata, fatta eliminando una certo numero dei dati più piccoli ed un identico numero di quelli più grandi, ma il sugo non cambia. La media aritmetica rappresenta molto bene il valore centrale di una serie tipo la gaussiana, che é simmetrica attorno al valor medio. Tuttavia le serie economiche non sono quasi mai distribuite in accordo alla gaussiana: quindi, l’uso della media può trarre in inganno, ed anche grandemente.
Se la distribuzione di frequenza, o, forse più visivamente intuibile, quella della densità di frequenza presenta lunghe code piatte destre o sinistre, come per esempio nei dati relativi al reddito, allora sarebbe più proprio utilizzare la mediana. Una proprietà della mediana è di rendere minima la somma dei valori assoluti degli scarti delle xi da un generico valore c:
Queste considerazioni non sono un trucchetto matematico: hanno delle implicanze davvero severe, che illustreremo con un esempio (si badi che calchiamo la mano solo per scopo didattico). Si consideri un paesino con 1,001 contribuenti dei quali abbiamo registrato il reddito annuo di ciascuno. Si avrà una Tabella di questo tipo, ordinando i dati dal più piccolo al più grande:
Come si vede, in questo paesino la gran massa delle persone vivono con un reddito sotto la soglia della povertà e ben pochi ne raggiungono uno da sopravvivenza. Però in questo paesino vivono quattro persone molto ricche, delle quali una é ricchissima. I loro redditi spostano la media verso l’alto, ma in modo ingannevole.
Se l’Annuario dal quale attingiamo ci fornisce solo il reddito medio, ne traiamo la conseguenza che gli abitanti di questo paesino hanno un reddito abbastanza in linea con quello nazionale. Se consideriamo invece il valor mediano, gli abitanti di questo piccolo paese sono davvero poveri, per non dire miseri.
Sia molto ben chiaro. Qui non c’entra la statistica: é questione di uso truffaldino della medesima.
Questo esempio è solo didattico, ma si spera possa rendere bene l’idea.
Conclusioni.
Nel riportare enormi masse di dati é del tutto ovvia la necessità di fornire degli indicatore della tendenza centrale, per evitare di pubblicare un overkilling informativo e dare degli indici sintetici, più intuibili e maneggevoli.
Questa esigenza tuttavia sta perdendo valore nel tempo, visto che al momento attuale il costo delle pubblicazioni elettroniche é davvero quasi trascurabile.
Accanto ad un valor medio, dovrebbe sempre comparire almeno la sua deviazione standard ed anche, meglio, una tabellina di frequenza dei dati raggruppati per classi: questa non occupa troppo spazio, si legge facilmente, e segnala eventuali anomalie nella distribuzione.
Non a caso, durante le verifiche fiscali, i funzionari vogliono vedere la contabilità analitica, non certo il report sintetico.
Nessun Cittadino avrebbe perplessità alcuna a subire una completa tracciabilità di tutti i suoi movimenti, ma solo e soltanto se anche Stato, Regioni, Provincie, Comuni e loro partecipate, e Banche fornissero eguale trasparenza ed accesso ai loro movimenti.
In caso contrario verrebbe da pensare che forse potrebbero essere proprio loro a non essere limpidi nella tenuta dei conti, e che fossero proprio loro a dover nascondere qualcosa. E ciò che é nascosto non é quasi mai bello.
Ci si rende anche conto che talune operatività dello Stato non possano né debbano essere di dominio pubblico. Tuttavia queste sono situazioni molto limitate e, tutto sommato, a bassa incidenza sui valori totali.
Di qui la proposta che Stato, Regioni, Provincie, Comuni e loro partecipate, e Banche siano obbligate per legge a mettere in rete i loro bilanci analitici, liberamente consultabili da parte di tutti i contribuenti.
gsm