Giuseppe Sandro Mela
Famiglia californiana durante la Grande depressione. (Fonte: Wikipedia).
Questo é il primo di una serie di post, collegati ed omogenei, dedicati all’analisi della Nuova Grande Depressione cui sta progressivamente andando incontro il mondo occidentale. Ogni post tratterà uno specifico aspetto di questo variegato e complesso fenomeno. La finalità di questi post è quella di fornire i dati di base e di stimolare una discussione ed approfondimento di queste tematiche.
Introduzione.
Il concetto di depressione è intimamente legato a quello di ricchezza di una nazione, che è estremamente articolato e complesso. Risulta quindi semplicemente impossibile esprimerlo con un unico indice che ne riassuma tutte le possibili caratteristiche. Inoltre, ogni indice può essere calcolato ed espresso seguendo metodologie differenti, di per sé stesse tutte valide, ma che conducono inevitabilmente a risultati numerici differenti.
E’ quindi evidente che nell’uso di questi indici é di fondamentale importanza riportare la metodologia di acquisizione e le modalità espressive. Queste definizioni sono frequentemente omesse oppure date per scontate: il risultato finale é una grande confusione generata dall’indeterminatezza dei termini usati. A ciò si aggiunga che non é lecito usare simultaneamente indici relativi alla stessa materia ma calcolati in modo differente all’interno dello stesso discorso, errore davvero molto frequente.
Tuttavia, se si accetta di affrontare un discorso prettamente divulgativo e non rigorosamente scientifico, talune imprecisioni – che costituirebbero severo errore metodologico in sede tecnica -consentono di condurre l’esposizione in modo più facilmente intuitivo. Si cerca, in altri termini, di dare il concetto di base, tralasciando tutti i preziosismi formali. Inoltre, trattando fenomeni di dimensione macroscopica, un ragionevole grado di arrotondamento consente di rendere tutta la costruzione espositiva decisamente più leggera.
Di conseguenza, non me ne vogliano gli amici economisti se nel corso di questi post useremo un linguaggio più conviviale che tecnico: l’obiettivo é cercare di spiegare all’uomo della strada cosa grosso modo rappresentano i termini che sente con sempre maggiore frequenza, e quanto questi termini influiscono sulla sua vita quotidiana.
La gente comune, i non addetti ai lavori, pongono domande semplici: quanto guadagno, quanto devo spendere per vivere, dove posso collocare in modo sicuro i miei risparmi, come posso garantire la mia Famiglia dagli insulti dell’alterna sorte, e garantire ai miei figli un futuro ragionevole. Come si vede, la semplicità espositiva diventa obbligatoria: sarebbe perfettamente inutile e tedioso far gran discorsi tecnici in una sede così inopportuna.
Quasi di norma, la demografia non viene presa in considerazione dagli economisti. I motivi sono semplici. Essi sono focalizzati quasi invariabilmente sul presente o sul brevissimo termine, quasi come i politici cui molto assomigliano, mentre la demografia incide sulla vita della collettività con il ritmo dei tempi biologici, ovvero, decenni. La demografia non ammette sofismi. La mancata o sottovalutata comprensione di quanto il futuro della nostra prole sia condizionato da comportamenti attuali, che incidono però pesantemente sul lungo termine, dovrebbe farci soffermare su questo particolare problema. Sarebbe inutile parlare di problemi economici di una popolazione che è sulla via dell’estinzione, triste caratteristica dell’Occidente.
§ 1. Demografia Italiana.
La prima ricchezza di una Nazione è costituita dalla sua popolazione. Di seguito si riportano i più recenti dati forniti dall’Istat sull’Italia.
REGIONI RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE |
Popolazione residente al 31/12/2010 |
||
Maschi | Femmine | Totale | |
Piemonte | 2,158.4 | 2,298.9 | 4,457.3 |
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste | 62.8 | 65.4 | 128.2 |
Lombardia | 4,844.5 | 5,073.2 | 9,917.7 |
Liguria | 767.9 | 848.9 | 1,616.8 |
Trentino-Alto Adige/Südtirol | 509.4 | 527.7 | 1,037.1 |
Bolzano/Bozen | 250.7 | 257.0 | 507.7 |
Trento | 258.7 | 270.7 | 529.5 |
Veneto | 2,413.9 | 2,524.0 | 4,937.9 |
Friuli-Venezia Giulia | 598.1 | 637.7 | 1,235.8 |
Emilia-Romagna | 2,151.1 | 2,281.3 | 4,432.4 |
Toscana | 1,805.1 | 1,944.7 | 3,749.8 |
Umbria | 436.3 | 470.2 | 906.5 |
Marche | 759.4 | 805.9 | 1,565.3 |
Lazio | 2,754.3 | 2,974.4 | 5,728.7 |
Abruzzo | 652.3 | 690.1 | 1,342.4 |
Molise | 155.7 | 164.1 | 319.8 |
Campania | 2,829.2 | 3,004.9 | 5,834.1 |
Puglia | 1,984.3 | 2,106.9 | 4,091.3 |
Basilicata | 287.6 | 299.9 | 587.5 |
Calabria | 980.1 | 1,031.3 | 2,011.4 |
Sicilia | 2,441.6 | 2,609.5 | 5,051.1 |
Sardegna | 821.2 | 854.2 | 1,675.4 |
Nord-ovest | 7,833.7 | 8,286.4 | 16,120.1 |
Nord-est | 5,672.5 | 5,970.6 | 11,643.2 |
Centro | 5,755.1 | 6,195.2 | 11,950.3 |
Centro-Nord | 19,261.3 | 20,452.3 | 39,713.6 |
Mezzogiorno | 10,152.0 | 10,760.9 | 20,912.9 |
Italia | 29,413.3 | 31,213.2 | 60,626.4 |
I maschi hanno una speranza di vita alla nascita di 78.8 e le femmine di 84.1 anni, speranza che incrementa lentamente nel tempo. Il tasso di fecondità, ossia il numero medio di figli per donna, é passato dall’1.27 nel 2002 all’1.41 nel 2009: ciò significa che la popolazione è destinata a decrescere nel tempo per carenza di proliferazione, anche se il fenomeno parrebbe in regresso. La portata di questo fenomeno é numericamente ancora poco evidente perché a fronte di una contrazione delle nascite si assiste ad un prolungamento dell’età media. Gli stranieri residenti in Italia erano a tutto il 2009 il 7% della popolazione.
Di maggiore interesse é però la seguente Tabella che riporta la popolazione per classi di età al 31 dicembre 2011, ricavata da quella Istat per classi annuali:
Classe
|
Maschi
|
Femmine
|
M + F
|
Età 00 – 15
|
4,667,511
|
4,408,113
|
9,075,624
|
Età 15 – 24
|
2,823,246
|
2,683,585
|
5,506,831
|
Età 15 – 65
|
19,839,520
|
20,004,643
|
39,844,163
|
Età 65 – 99
|
4,906,243
|
6,800,412
|
11,706,655
|
Si noti come la popolazione attesa sotto i 16 anni, calcolata sulla base della frequenza della classe 15-24, dovrebbe essere 9 * 5,506,831.00 / 16 = 9,789,921.78, ossia sono nate 714,297.78 persone meno dell’atteso.
Sulla scorta della Tabella Istat (espressa anno per anno) è possibile calcolare la previsione futura (arrotondata per eccesso, perché non considera gli eventuali decessi):
Età 18-65
|
Età >65
|
|||||
Maschi
|
Femmine
|
Tot
|
Maschi
|
Femmine
|
Tot
|
|
2011
|
19,245,585
|
19,444,388
|
38,689,973
|
5,190,942
|
7,110,595
|
12,301,537
|
2021
|
18,600,614
|
18,391,836
|
36,992,450
|
8,341,488
|
10,497,312
|
18,838,800
|
2030
|
16,658,154
|
16,187,238
|
32,845,392
|
9,007,852
|
10,904,065
|
19,911,917
|
Come si constata, nell’arco di tempo che va dal 2012 al 2030 la popolazione in età lavorativa perderà 2,587,431 maschi, 3,257,150 femmine, ossia 5,844,581persone in totale. Nel contempo, il numero di persone in età superiore ai 65 anni passerà dai 12,301,537 di fine 2011 ai 19,911,917 del 2030. Il rapporto tra persone in età lavorativa contro quelli in età pensionabile scenderà dal 3.15 del 2011 all’1.65 del 2030.
§ 2. Considerazioni.
1. I dati riportati differiscono dalle proiezioni Istat perché queste ultime considerano un flusso costante e sostanzioso di immigrazione, mentre questi conti si riferiscono alla sola popolazione autoctona. Non abbiamo riportato l’eventuale apporto di flussi immigratori per molte ragioni. Sembrerebbe infatti del tutto inverosimile che un paese in depressione possa richiamare ed assorbire fenomeni immigratori, specie considerando che la depressione si associa invariabilmente ad un aumento del tasso di disoccupazione ed a diminuita possibilità di erogare sussidi. Sono infatti molti i Governi che stanno ripensando le politiche immigratorie.
2. Se è vero che un decremento della popolazione in età attiva potrebbe diminuire il tasso di disoccupazione, è altrettanto vero che la diminuita concentrazione attivi/pensionati, dal 3.15 attuale all’1.65 del 2030 raddoppierà sui primi gli oneri di mantenimento dei secondi.
3. Ad un calo percentuale del 15% della popolazione in età lavorativa dovrebbe corrispondere un proporzionale calo del Pil, a produttività costante.
4. La depressione economica unita alla recessione demografica costituisce storicamente una forte concausa peggiorativa, sia in termini economici sia in termini demografici. Conseguentemente, il quadro posteriore al 2020 dovrebbe essere visto ulteriormente peggiore: questi fattori non stimolano la ripresa della grande industria.
5. Si tenga presente che il quadro potrebbe risultare anche profondamente variato da fattori non demografici. Ci riferiamo in particolare al problema degli over 65. La diminuzione delle risorse statali e delle famiglie – sia economiche sia di numero di persone disponibili – obbligherà a ridurre quantità e qualità dell’assistenza sanitaria, specie lungo-degenziale. Ne conseguirebbe quindi una riduzione quantitativa e qualitativa dell’assistenza medica erogata agli anziani, con conseguente diminuzione dell’attesa di vita in quella classe. A ciò si aggiunga anche la tendenza in via di sviluppo del concetto di legare l’eutanasia non solo alla qualità di vita ma anche alla produttività economica.
6. Un altro fenomeno verosimile sarà costituito a tempi brevi dall’abbassamento del tasso di fecondità, tipicamente legato alla depressione economica. Gli effetti di questo fenomeno dovrebbe evidenziarsi dopo il 2030, ma andranno a deprimere ulteriormente i processi demografici, ostacolandone non poco la ripresa.
7. La riduzione del 15% della popolazione in età attiva non porterà soltanto ad una diminuzione del Pil per carenza di persone produttive, ma anche ad una analoga riduzione dei consumi interni tipici di tale fascia di età.
8. Un dato molto allarmante, specie se valutato nell’ambito di una grande crisi demografica, é quello della sanità mentale della popolazione, che risulta essere affetta da circa un 38% di gravi forme psichiatriche, fonti di ulteriori riduzioni funzionale della popolazione attiva.
9. I precedenti storici di gravi depressioni associate ad altrettanto severe contrazioni demografiche evidenziano una velocità di ripresa consistentemente più lenta rispetto alle depressioni economiche non associate alle contrazioni demografiche.
§ 3. Conclusioni.
Il motivo per cui la demografia assume una particolarissima importanza risiede nel fatto che i tempi biologici per formare una nuova generazione si aggirano dai diciotto (diplomati) ai venticinque (laureati) anni. Questi tempi non sono comprimibili. Sarebbe davvero miope sottovalutare questo problema per il solo fatto che i suoi effetti si evidenziano nella loro drammaticità a distanza di lungo tempo.
Post precedenti utili per comprendere la problematica.
2011-10-23 [018] Le Patologie Mentali in UE al 38% (Nature) e il Suffragio Universale.
Trattati di utile lettura per inquadrare la problematica.
Diamond J. Collapse. How Societies choose to fail or succeed. New York. 2011
Greenspan A. The age of Turbulence. Penguin Press. New York. 2007
Heather P. The Fall of the Roman Empire: A New History of Rome and the Barbarians. Oxford University Press, USA. 2005
Krugman P. The Return of Depression Economics. 1999.
Mahbubani K. The new asian Hemisphere: the irresistible Shift of global Power to the East. Public Affairs. New York.
Reinhart CM & Rogoff KS. This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly. Princeton University Press. 2009
Roubini R & Mihm S. Crisis Economics. A Crash Course in the Future of Finance. Penguin Press. New York. 2010.
2009
Schmidt-Glintzer H. China – Vielvölkerreich und Einheitsstaat. Verlag C.H. Beck oHG, Münken. 1997
Spengler O. Il Tramonto dell’Occidente. Longanesi. 1957.
Nota.
Questo post é il primo di una serie articolata per argomenti sulla Nuova Grande Depressione.
– La Nuova Grande Depressione. 01. Oggi. Demografia.
– La Nuova Grande Depressione. 02. Oggi. Pil e Ricchezza delle Famiglie.
– La Nuova Grande Depressione. 03. Oggi. Il Debito Sovrano ed Aggregato.
– La Nuova Grande Depressione. 04. Oggi. Occupazione e Lavoro.
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