Giuseppe Sandro Mela
I già pesanti problemi finanziari, economici e politici che affliggono l’Italia risultano essere ingigantiti da due fenomeni puramente organizzativi che concorrono pesantemente ad aggravare l’attuale crisi in atto.
La burocrazia e la parcellizzazione delle responsabilità decisionali costituiscono un cappio che strozza sul nascere molte iniziative economiche. Ciò che più turba, e che nessun Governo ha mai seriamente affrontato questo problema, la cui risoluzione sarebbe peraltro non solo a costo zero, ma faciliterebbe grandemente la ripresa economica.
Prendiamo lo spunto da un fatto, così come é riportato dalla stampa.
Sole24Ore. 2012-03-06. Da 11 anni aspetta i permessi: British gas lascia Brindisi. Da 11 anni aspetta i permessi: British gas rinuncia al rigassificatore e lascia a Brindisi.British gas getta la spunga: dopo 11 anni di paralisi sul fronte delle autorizzazioni e dei permessi, attesi inutilmente dagli inglesi e mai concessi dalle autorità italiane, la compagnia energetica britannica rinuncia al progetto del rigassificatore di Brindisi. «Oggi (ieri per chi legge, ndr) – annuncia al Sole 24 Ore il presidente e amministratore delegato di British gas Italia, Luca Manzella – abbiamo avviato le procedure per il collocamento in mobilità dei nostri lavoratori presenti a Brindisi. In tutto una ventina di dipendenti.La casa madre, delusa e scoraggiata dal prolungarsi all’infinito del braccio di ferro con le autorità italiane e nonostante i 250 milioni di euro già spesi per il progetto pugliese, ha deciso di riconsiderare dalle fondamenta la fattibilità dell’investimento». Il risulato è che tutte le attività di British gas su Brindisi cessano a partire da oggi.Un colpo durissimo sia per l’economia del territorio, visto che il rigassificatore avrebbe procurato nei quattro anni necessari alla sua realizzazione un migliaio di posti di lavoro, sia all’immagine del sistema Paese, che si mostra incapace di attarre i grandi investimenti stranieri.«Noi pensiamo – continua Manzella, in carica dallo scorso 1° febbraio – che il governo Monti, così come si rivolge agli investitori finanziari, dovrebbe inviare messaggi altrettanto chiari e rassicuranti anche agli investitori industriali, che hanno un enorme bisogno di certezze». Proprio quelle che Britsh gas non ha mai ottenuto: la richiesta al Governo italiano di poter realizzare a Brindisi l’impianto di rigassificazione risale al novembre 2001. Il terminal, il cui investimento si aggira sugli 800 milioni di euro, è progetto per una capacità di sei milioni di tonnellate/anno di gas naturale liquefatto (gnl), corrispondenti a otto miliardi di metri cubi l’anno di gas naturale immesso in rete, pari al 10% circa del consumo nazionale. E invece non se ne farà più niente. Sfuma tutto.Ma perché si è arrivati a tanto? «Perché – risponde Manzella – dopo la nuova Via (valutazione d’impatto ambientale), concessa con decreto nel luglio del 2010, ci eravamo illusi che nel giro di 200 giorni tutto si sarebbe appianato, i permessi sarebbero finalmente arrivati e avremmo potuto avviare i lavori. Di giorni invece ne sono passati 600, il processo autorizzativo è bloccato, gli enti locali continuano la loro strenua opposizione al progetto depositando una raffica di ricorsi amministrativi contro la nuova Via mentre dal Governo centrale e in particolare dal ministero dello Sviluppo – sottolinea Manzella – non è mai arrivata la convocazione per la conferenza dei servizi decisiva. Non si può pensare che una grande multinazionale blocchi un progetto per oltre 11 anni. A tutto c’è un limite».A irritare ancora di più gli investitori inglesi è il confronto con quanto è accaduto negli stessi anni in Galles. Il rigassificatore gallese di British gas e quello di Brindisi possono essere definiti come “impianti gemelli”, in quanto entrambe le strutture hanno una capacità annua di 8 miliardi di metri cubi e i serbatoi una capacità pari a 160mila metri cubi. L’iter autorizzativo è scattato, per entrambi i terminal, a inizio anni Duemila. Risultato: in soli cinque anni il progetto gallese è stato validato, l’impianto è stato costruito e entrato in funzione. L’area sulla quale sorge è importante dal punto di vista naturalistico ma ciò nonostante non ci sono stati problemi in nessuna fase, né progettuale né realizzativa.Esattamente il contrario da quanto è avvenuto in Puglia. Dove peraltro la società inglese ha investito 250 milioni di euro senza riuscire a fare altro che costruire la spianata sulla quale dovrà sorgere l’impianto.E ora che succederà? «Come detto – ribadisce Manzella – tutte le attività di British gas su Brindisi vengono chiuse. Ma è il Paese che dovrebbe interrogarsi perché, sul piano internazionale, si ha la netta percezione che investire in Italia sia rischioso. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia».
Definizione del problema.
Chiariamo subito che in questa sede non si intende minimamente entrare nel merito se l’Italia abbia o meno bisogno di un impianto di rigassificazione a Brindisi, né se il progetto della British gas sia quello ottimale, né, tanto meno, si vuole disquisire sull’opportunità che sia proprio questa società a realizzarlo.
Similmente, in questa sede non si intende minimamente discutere il problema di quanto e come le realtà locali possano interferire nella realizzazione di opere di interesse strategico nazionale.
Il problema che poniamo é il seguente:
E’ semplicemente impossibile pianificare una qualsiasi operazione economica produttiva con una tempistica burocratica che raggiunge, e supera, gli undici anni.
Ripetiamo per maggiore chiarezza, in questa sede è del tutto irrilevante se la risposta alla richiesta di autorizzazione debba essere positiva o negativa. E’ una questione di tempistica decisionale.
Considerazioni.
1. La struttura decisionale dell’Italia deve essere rivista profondamente. Questo non significa svolta autoritaria di alcuna sorta. Significa solamente che chi è stato eletto con libere elezioni si assuma l’onore della carica e l’onere di esercitarla. Ed esercitarla significa prendere decisioni operative. Non é ammissibile una desistenza dell’autorità.
2. Si è perfettamente consci che taluni progetti di rilevanza nazionale richiedono un’attenta analisi ed una seria raccolta di elementi, talora anche molto complessi. Se tuttavia questa fase conoscitiva risulta essere espletata in tutti i paesi civili in periodi di tempo non superiori ai sei mesi, non si trova ragione valida per cui l’Italia non si possa adeguare a questa tempistica.
3. Si é perfettamente d’accordo che in un sistema democratico si debba sentire la voce anche delle più piccole realtà. Ciò tuttavia non implica la necessità che questa fase di ascolto duri in eterno.
4. Specie per i progetti strategici nazionali, il bene comune della Nazione dovrebbe fare aggio sulle esigenze particolari. Ciò non significa elusione di un adeguato rimborso né realizzazione di mostri ambientali e/o ecologici.
5. Si valuti infine il rilevante costo della burocrazia e della lentezza decisionale: chi mai oserà pensare ad un progetto industriale in Italia senza la garanzia di tempi brevi e certi nell’iter delle autorizzazioni?
Conclusioni.
In un sistema democratico il cittadino si esprime nel momento delle libere elezioni. Gli organi eletti hanno il dovere/diritto di esercitare le competenze che loro competono, ed il loro operato sarà rivalutato solo in occasione del prossimo turno elettorale.
L’assemblearismo permanente non è previsto dalla nostra Carta Costituzionale. Così come in una democrazia, se è lecito dimostrare il piazza le proprie idee, non é lecito che la piazza operi con violenza più o meno marcata per imporre il proprio punto di vista. Quello lo si pronuncia nel momento elettorale.
Forse, potrebbe essere presa in considerazione un’Autorità che presieda a questo tipo di decisioni, istituita con lo scopo di recepire ogni possibile e lecita istanza, e che possa prendere decisioni autoritative che contemperino al meglio tutte le possibili esigenze, dando però la prevalenza al bene comune.
Si consideri infine che senza la possibilità di prendere decisioni in tempi umanamente rapidi, si blocca de facto quello sviluppo economico ed occupazionale del quale tutti si sciacquano a parole la bocca.
Non ci si lamenti poi se le imprese delocalizzano, non si espandono in Italia, e quelle estere se ne guardano bene dal’imprendere da noi. Sarebbero lamentele del tutto ipocrite.
I finanziamenti diventano in tale evenienza perfettamente inutili.
Forse, a questo problema si dovrebbe prestare un’attenzione maggiore di quella attuale.
gsm